Guerra

I "decapitation strike" contro Mosca: perché la strategia di Kiev fa così male ai russi

L'attacco al comando della flotta russa di Sebastopoli si inquadra nella tattica degli "attacchi di decapitazione". Ecco perché sono efficaci soprattutto nel conflitto ucraino

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Il recente bombardamento del comando della flotta russa del Mar Nero si inquadra in una precisa tattica ucraina che nel caso russo si rivela molto efficace: gli attacchi di “decapitazione”. In campo militare i decapitation strike, nella loro terminologia anglosassone, vengono intesi come attacchi ai centri di comando, controllo e comunicazione (C3) nemici per impedire una reazione avversaria coordinata e anche alle personalità politiche di spicco di una nazione, soprattutto qualora si intenda sovvertirne il regime.

Essi però trovano un'applicazione più puntuale sul campo di battaglia quando, per le stesse finalità generali (provocare confusione e disarticolare la catena di comando nemica), si prendono di mira gli ufficiali di rango elevato.

Il limite "sovietico" delle forze russe

Come accennato, nel caso russo questa tipologia di azione trova un'applicazione più fruttifera per una motivazione ben precisa e peculiare. Le forze armate russe, infatti, hanno ereditato l'impronta sovietica fortemente gerarchizzata della catena di comando nonostante il tentativo di snellirla e renderla più flessibile effettuato dall'ex ministro della Difesa Anatoly Serdyukov nel 2008, che varò la riforma “New Look Army” volta proprio a dare alle forze armate russe un'impronta più occidentale, cercando di eliminare le grosse unità (le divisioni) dal fulcro decisionale per spostarlo verso le brigate.

Riforma abortita con l'arrivo di Sergei Shoigu e pertanto sebbene ora l'esercito russo sia imperniato sui Btg – o gruppi tattici di battaglione – ovvero su unità più flessibili e possibilmente con più corpi al loro interno (artiglieria, corazzati, difesa aerea, droni, fanteria meccanizzata ecc), la catena di comando è rimasta sostanzialmente invariata, con l'effetto che comunque il centro nevralgico resta il comando divisionale che però non si può affidare su comandi intermedi (le brigate) diffusi e trovandosi con più piccole unità di manovra (i già citati Btg) i cui comandanti non hanno completa libertà di azione sul campo di battaglia come succede negli eserciti occidentali.

Questa stessa impronta, che si potrebbe definire “a piramide inversa” per quanto riguarda il peso decisionale, è rimasta anche nelle altre forze armate: un esempio lampante in tal senso è dato dall'incidente occorso a settembre 2022 quando un caccia russo Su-27 ha lanciato due missili – che per fortuna non hanno colpito il loro bersaglio – contro un aereo da ricognizione elettronica britannico nei cieli del Mar Nero in acque internazionali. Il pilota infatti era sotto la stretta guida del controllo di terra e ha effettuato i lanci credendo di aver ricevuto l'ordine di farlo.

Il blitz in Crimea

Tornando al caso in esame e al conflitto in Ucraina, l'attacco di Sebastopoli è stato quindi un tentativo di “decapitare” la Flotta del Mar Nero anche in considerazione che un ufficiale di alto rango (che sia ammiraglio o generale) possiede competenze che difficilmente sono immediatamente sostituibili dai suoi sottoposti e perfino da altri di pari rango provenienti da altri comandi. Questo è vero per tutti gli eserciti in linea generale, ma in particolare per quello russo per i motivi sopra citati.

Resta comunque da capire se davvero, come riferiscono gli ucraini, il comandate della Flotta del Mar Nero sia deceduto nell'attacco a Sebastopoli: Viktor Sokolov è apparso in un video in cui partecipa a una conferenza online col ministro Shoigu e altri vertici militari delle forze armate.

Quello che invece è certo è che gli ucraini hanno adottato questa tattica, proprio per i motivi detti finora, sin dall'inizio del conflitto eliminando, o cercando di eliminare, ufficiali di alto rango dell'esercito russo. Nel quadro generale delle operazioni il tentativo di “decapitare” la Flotta del Mar Nero si inquadra nella volontà dello Stato maggiore di Kiev di allontanare il più possibile la minaccia data dallo strumento navale russo, utilizzato da Mosca anche per colpire obiettivi strategici ucraini come centrali elettriche, snodi ferroviari e i terminal di spedizione del grano.

Si tratta di un chiaro esempio di azione asimmetrica, in quanto è noto che la marina ucraina non abbia il potenziale per affrontare “in campo aperto” quella russa, e pertanto ci si affida a unità sottili (le uniche che possiedono), droni e missili da crociera utilizzati in attacchi congiunti che stanno ottenendo risultati tangibili.

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