Economia

Moncler boom, c'è un'Italia che va

L'azienda si quota a Piazza Affari e guadagna il 46%: un miliardo in 10 minuti

Moncler boom, c'è un'Italia che va

Due mondi separati. Che sembrano lontani anni luce, eppure sono uno a fianco dell'altro. Ieri per fare un chilometro a Milano, quello che separa piazza Cadorna da Piazza Affari, occorreva un'oretta in auto. Il blocco dei mezzi pubblici, che in realtà risultavano fermi nel traffico, e le proteste degli studenti hanno paralizzato la città. Ma a Piazza Affari c'era tutt'altro spirito e l'umore di altri tempi. Schierata sulle scale, come un esercito, una pattuglia di modelli che indossavano piumini imbottiti di Moncler. All'interno di Palazzo Mezzanotte, quello dove un tempo c'erano le grida di Borsa, un parterre di fighettismo internazionale. Forse per la mancanza di guardaroba, tutti stretti al proprio piumino. In prima fila i mammozzi della finanza. E una delle poche donne italiane che decide i gusti e i successi della moda mondiale, e che per il solo fatto di essere citata da questo foglio cafoncello, si suiciderebbe: Franca Sozzani.

Insomma, alle 8 e trenta del mattino tutti schierati in Borsa per attendere la quotazione dell'anno, quella di Moncler. Piumini dal nome francese, nati negli anni '50, desiderati negli '80 (altro che Ciesse) tra i Parioli e San Babila, praticamente falliti nei '90 e ricomprati e nazionalizzati dal riccioluto e geniale Remo Ruffini agli inizi del 2000.

La storia era partita bene. Tutti a cercare di accaparrarsi un'azione Moncler. Nel gruppo sono così entrati 750 diversi investitori istituzionali da tutto il mondo, con richieste 30 volte superiori ai titoli messi in vendita. Anche i piccolini si sono dati da fare, con un boom di domande pari a 14 volte l'offerta. E, badate bene, non che sia il periodo d'oro della Borsa, in cui si digerisce tutto. Solo nelle scorse settimane due matricole si sono dovute arrendere e restare a casa. Moncler ha fatto storia a sé: tutti in fila a comprare le azioni del piumino. Il De Benedetti più bravo di tutti, Marco, l'aveva detto chiaro e tondo a Ruffini solo un annetto e mezzo fa: aspetta prima di quotarti, cresci ancora un po', fatti forte e vai calmo, che sarà un boom.

Sono le nove. Gli studenti protestano per i soliti tagli e i pastrocchi che avrebbe generato la finanza. I tranvieri sono neri per il solito rinnovo del contratto. La sala delle grida è buia e in attesa dell'apertura della Borsa. Et voilà: parte sul megaschermo il grafico. Quello che capiscono in quattro. Se non per un numeretto: 14 euro, più quaranta per cento. Il titolo, per chi è riuscito a prenderlo in fase di quotazione, costava 10 euretti. Nel giro di dieci minuti (tra le 9,10 e le 9,20) quella cosa tremenda che si chiama finanza ha creato 1 miliardo di euro di valore dal nulla. Ieri Moncler valeva virtualmente 2,5 miliardi di euro, oggi 3,7 miliardi. Eh, sì. Perché quando il listino perde il tre per cento, scriviamo «bruciati tot miliardi di euro» e quando un titolo guadagna il 40 per cento in dieci minuti non possiamo scrivere «Moncler ha creato più di un miliardo di euro»?

Ruffini sale sul palco e manda il filmato. Applausi. Standing ovation (come si dice): ma qua ci sono i soldini che crescevano in tasca. E alla fine un milione di piume bianche, effetto Studio 54 per i più vecchietti, sulla platea adorante e, in fondo, un po' più ricca.

Esci da quella sala e pensi: una speranza ce l'abbiamo. Il gusto, la voglia di fare, le mani e la testa degli italiani sono favolosi. Prendiamo un marchio francese e lo rendiamo grande in Italia. Per una volta le banche ci credono. E 'sto Ruffini da dove è uscito? E soprattutto: quanti come lui ce ne sono in giro? Senza andare troppo lontano, Ferragamo ha anticipato l'exploit dei piumini in Borsa. Si è quotata anche Prada, ma siccome loro sono i più fighi del bigoncio, sono andati a Hong Kong. Vabbé, peggio per loro.

Le fortune di Borsa passano. E Marco De Benedetti ha messo tutti all'erta: «Non pensate al valore del titolo sui mercati, ma continuate a lavorare a testa bassa. Quando Telecom - ricorda De Benedetti - era al top a Milano, e tutte le sue mosse venivano decise in funzione della risposta di Borsa, iniziò il tracollo». Quindi, calma.

Ma chi ogni giorno per lavoro deve raccontare fallimenti, trattative, lungaggini burocratiche, tasse, mancati pagamenti, ispezioni e Asl, beh, per costui svegliarsi una mattina a Piazza Affari, in mezzo ai piumini e al sorriso di una squadra che ce l'ha fatta, è un vero balsamo.

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