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Caro Ingroia, contro la mafia ho fatto più io di voi giudici

L'ex sindaco di Salemi scrive al procuratore aggiunto di Palermo che lo aveva attaccato: "Mi vergogno del pensiero che lei esprime contro l'Italia"

Caro Ingroia, contro la mafia ho fatto più io di voi giudici

Mi ascolti bene, caro dottor Ingroia, io vorrei che lei non avesse mai scritto la sua nota ingiusta sulla città di Salemi. Io mi vergogno del pensiero che lei esprime contro la Sicilia e contro l'Italia. Lei si muove sul terreno scivoloso della «apparente contraddizione tra integrale applicazione della cultura delle regole e principio di democrazia». Io non glielo consento se questo le impone di alterare la realtà. E dunque, allora, la esorto a non umiliare la parola «cultura» con il grammaticale collegamento a regole arbitrariamente stabilite in duri e difficili tempi di emergenza.
La «cultura» è, nelle sue espressioni di anche arbitraria libertà, l'opposto delle «regole». La coscienza dei cittadini e la libertà del pensiero, non «la cultura delle regole», hanno cambiato le realtà amministrative siciliane negli ultimi vent'anni. E, ancor più, il pentitismo, non quello truccato e postumo della grottesca esaltazione del figlio di Ciancimino, la cui psicologia di mitomane, anche pericoloso, ha ben individuato, in contrasto con lei, il procuratore Lari; ma quello che ha cancellato l'omertà e la paura. E quest'aria si respira oggi in Sicilia, fuori dai vostri ambienti.
In questo senso il tanto che la mia amministrazione ha fatto a Salemi, e che è documentato, ha rappresentato un superamento della falsificazione della lotta tra mafia-antimafia, tra guardie e ladri. Io sono venuto e ho trasformato la cultura di Salemi, come sa tutto il mondo e come mi ha riconosciuto il ministro dell'Interno Cancellieri.
Non accetterò che Salemi debba essere precipitata in un passato morto e sepolto anche grazie ai suoi teoremi. I mafiosi ci sono, certamente, ma la mafia organizzata, a Salemi soprattutto, non c'è più; così come ci sono sicuramente i nazisti, ma non c'è più il nazismo, e perseguirli quando non sono al potere è cosa diversa che abbattere il nazismo. Io parlo a ragion veduta da vittima non della mafia ma di magistrati che osarono incriminarmi in Calabria, con ridicole menzogne, per essere poi smentiti dal procuratore Vigna che archiviò quella inchiesta. Ma i suoi colleghi calabresi obbedivano alla teoria immobilistica (solo a parole smentita) che chiunque si candidi in Calabria deve fare i conti con la mafia. Non fu così allora, e non è stato così a Salemi.
Nessuno dei dodici consiglieri può, in alcun modo e neanche lontanamente, essere avvicinato alla mafia, se non per consentire ragionamenti come i suoi che, per rendere credibili le sue congetture, parla di «accertata infiltrazione mafiosa». Ma accertata dove, come, da chi? E riconosca, alla luce dei processi contro esponenti delle Forze dell'Ordine, che nelle istituzioni possono esservi bugiardi e traditori che mistificano la realtà e inventano reati e criminali che non ci sono. Tutti i miei assessori, e il vicesindaco in particolare, sono al di sopra di ogni sospetto. Né si può immaginare che la capacità di influenza politica esercitata, a destra e a sinistra, in una società possa essere scambiata per l'espressione di «varie articolazioni di Cosa Nostra, che dimostrano un'efficiente capacità di controllare intere comunità, drogandone dunque il consenso che, sotto tale profilo, è libero solo in apparenza». È inaudito che ci si possa volere stabilire chi ha titolo e chi non lo ha a prendere voti puliti. Lei capirà bene che l'unico risultato di queste inchieste è che io me ne sono andato per non sottostare alla violenza di un'azione antimafia prepotente. Nella città dove ho voluto il Museo della Mafia si è colpito un metodo (che è anche un modello) non omogeneo alla vostra cristallizzata visione. A Salemi la mafia è fossile. La si immagina viva solo per alimentare l'antimafia. Quello che è avvenuto a Salemi non può in alcun modo essere definito «fallimento della politica», ma fallimento dell'azione giudiziaria che reclama «codici etici». Ma quali codici etici ? Sarà etica la vostra ? Torni a leggere Benedetto Croce che nel volume «Etica e politica» scrive con grande chiarezza: «Il vero politico onesto è il politico capace».
Si può dire lo stesso del magistrato. Ma ammesso che voi, lei e i suoi colleghi siate capaci, è assolutamente evidente che agite in nome di un mandato taumaturgico e, d'altra parte, lei, a un parlamentare che ha conosciuto il 41 bis, e che lo aveva fortemente voluto negli anni dell'emergenza (mi riferisco a Calogero Mannino), rimprovera di avere tentato di attenuarlo. E cosa vuol dire ? Che un parlamentare non può chiedere che venga cambiata una legge ? Non è suo diritto ? In cinquantadue parlamentari, nel 1993, con Pannella, Taradash, Biondi, Maiolo e altri di cui mi onoro di aver condiviso le idee, proponemmo una legge per cancellare il 41 bis, in nome di diritti umani che sono gli stessi evocati per Guantanamo.
I nostri nomi furono messi all'indice in prima pagina della Repubblica.

Lei merita una sola risposta, quella che le mie dimissioni indicano: che nessuna persona che creda ai valori della cultura e non a quelli della repressione e del totalitarismo giudiziario, si candidi in Sicilia (che lei si ostina a chiamare, manicheisticamente, «terra di mafia»; ed è oggi purtroppo quasi soltanto terra di «professionisti dell'antimafia»).

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