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Dell'Utri, assalto fallito: il processo va rifatto

Per la Cassazione mancano prove certe e non sono stati rispettati i diritti dell'imputato accusato di essere mafioso. Sconfessati quei magistrati e commentatori politicizzati che da sedici anni avevano già emesso al sentenza

Dell'Utri, assalto fallito: il processo va rifatto

Mi sono sempre chiesto: di che rea­to è chiamato a rispondere Mar­cello Dell’Utri? Cosa ha fatto in fa­vore della mafia? Ieri abbiamo avuto finalmente una risposta. Non lo sanno ne­anche i magistrati che lo accusano. Il procurato­re generale della Cassazione, con sconcerto rile­va l’astrazione dell’accusa, propriamente un pregiudizio. Non risulta definito, infatti, il reato ed è evidente la mancanza di motivazione e la mancanza di specificazione della condotta con­te­stata a Dell’Utri: «L’accusa non viene descritta, il dolo non è provato, precedenti giurispruden­ziali n­on ce ne sono e non viene mai citata la sen­tenza Mannino della Cassazione, che è un punto imprescindibile in processi del genere... essere referente o il terminale politico della mafia, non significa nulla: non si fanno così i processi, si de­vono descrivere i fatti in concreto». Appunto. Chissà perché la sostanza delle accuse contro la persona colta e amica di Umberto Eco e di Olivie­ro Diliberto deve essere fumosa, indefinita. Aria di mafia,giusto perché Dell’Utri è nato in Sicilia. Ciò che si voleva colpire con Dell’Utri non era un’azione mafiosa, un appalto, una pressione, una corruzione, ma una predisposizione psico­logica supposta, cercando con vaghe e suggesti­ve formule, da parte dell’accusa,di ottenere una condanna per un non meglio definito «concorso esterno in associazione mafiosa».Cosa vuol dire concorso esterno? Un reato che prescinde dai fat­ti e prevede una intesa piuttosto emotiva che rea­le? In realtà da 18 anni una magistratura infedele alla Costituzione ha cercato di far pagare a Del­l’Utri il suo ruolo politico per inquinare alle fon­d­amenta il partito fondato da Berlusconi e orga­nizzato da Dell’Utri. Appare enorme, alla luce di anni di persecuzione giudiziaria, da intendere come un vero e proprio stalking con l’obiettivo di screditare una personalità politica, che il procu­ratore gene­rale Iacoviello abbia indicato una pa­lese deficienza del rispetto dei diritti civili nei con­fronti di Dell’Utri. Una accusa grave e pesante che riconosce nell’impostazione della Procura generale di Palermo un grave pregiudizio, un in­quinamento politico dell’azione giudiziaria: «Nessun imputato deve avere più diritti degli al­­tri, ma nessun imputato deve avere meno diritti degli altri:e nel caso di Dell’Utri non è stato rispet­tato nemmeno il principio di ragionevole dub­bio ».

Nemmeno i tribunali fascisti avevano mo­strato un tale disprezzo per la giustizia. 

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