Politica

I Democratici senza democrazia

Non è una novità che i partiti vivano fuori dal mondo, tant'è che la gente non li sopporta e non li vota più. Ogni volta che se ne hanno le prove, c'è da dubitare sulla tenuta della democrazia

Non è una novità che i partiti vivano fuori dal mondo, tant'è che la gente non li sopporta e non li vota più. Ogni volta che se ne hanno le prove, c'è da dubitare sulla tenuta della democrazia. L'ultima botta alla credibilità della politica viene da un sondaggio ordinato e pubblicato da una fonte non sospetta: L'Espresso, molto attendibile se non altro perché notoriamente di sinistra, ovvero antiberlusconiano doc. I dati maggiormente significativi riguardano il Pd, da mesi ormai al centro di interminabili dibattiti, polemiche e scontri all'arma bianca fra gli stessi iscritti, specialmente dirigenti.

L'indagine demoscopica rivela che i simpatizzanti democratici se ne infischiano bellamente delle cosiddette primarie e non hanno alcuna intenzione di correre alle urne per scegliere il nuovo segretario. Cifre alla mano, colore che dichiarano di disinteressarsi della competizione tra i pretendenti al trono rossiccio superano il 75 per cento. In altre parole, solo una persona di sinistra su quattro afferma di partecipare col proprio voto alla gara per issare al vertice del Pd questo o quel big.
Sappiamo che i sondaggi non sono il vangelo, pertanto anche quello di cui stiamo trattando va preso con le pinze, ma non possiamo ignorarlo e neppure sottovalutarlo, perché dimostra la veridicità di quanto abbiamo scritto in apertura delle presenti note: e cioè che i partiti italiani, ridotti come sono, non rappresentano affatto il comune sentire degli italiani. L'attività politica in generale è materia per iniziati, per pochi intimi illusi di contare ancora qualcosa, i quali si dannano allo scopo di accaparrarsi una poltrona nell'indifferenza della base.

Non è una nostra personalissima opinione, bensì un dato di fatto. I media, quanto i partiti, sono convinti che il popolo segua con trepidazione le sorti di Renzi, Cuperlo ed Epifani. Ed ogni dì essi dedicano alla bagarre vari titoli e articoli avvincenti, convinti di appassionare se non addirittura di eccitare il pubblico, raccontando le fasi salienti del confronto tra i giganti del progressismo. Figuriamoci. La massa è lontana anni luce dalle beghe per la conquista della segreteria, non se ne occupa; davanti alla notizia che il sindaco di Firenze gode dei favori del pronostico, lungi dall'emozionarsi, fa spallucce, se ne sbatte altamente.
Alcuni anni orsono, quando furono introdotte nel sistema selettivo del Pd, le primarie sembravano una panacea, l'ideale per coinvolgere i militanti nel delicato meccanismo della distribuzione delle alte cariche. Niente di più falso. Nella pratica, esse hanno sortito l'effetto contrario a quello immaginato: anziché semplificare le procedure per scegliere i capi, le hanno complicate, creando un'enorme confusione e facilitando imbrogli e malumori. Di solito, i vincitori sono personaggi sconosciuti, improvvisatisi leader, appoggiati da amici e da amici degli amici. Su De Magistris, Crocetta e Pisapia, per citarne tre, nessuno avrebbe scommesso un euro bucato.

Il gioco delle preferenze affidato a meccanismi artigianali scarsamente affidabili può determinare esiti sconvolgenti se non addirittura esiziali. Nonostante la sperimentazione delle primarie effettuata dal Pd abbia provato che il metodo importato dagli Usa non funziona, c'è qualcuno nel Pdl (o Forza Italia) che vorrebbe usarlo in forma definitiva per disciplinare le carriere interne, togliendo a Berlusconi la facoltà di promuovere o di bocciare questa o quella candidatura.

Non siamo in grado di dare suggerimenti ad alcuno in campo politico, ma nessuno ci può negare il diritto di osservare che le «trovate» democratiche sono inadeguate, direi fallimentari. Se le indicazioni dei sondaggi dell'Espresso - peraltro tenuti ben nascosti dalla casa editrice - non saranno smentite dallo spoglio, avremo la certezza che i democratici, benché si diano tante arie, si gestiscono ancora peggio dei loro avversari e non hanno titoli per impartire lezioni di democrazia.
È del tutto evidente che l'astensionismo e l'antipolitica non siano fenomeni slegati dall'incapacità dei partiti tradizionali di fare decentemente il loro mestiere. Se perfino i democratici, un tempo militarizzati, disobbediscono agli ordini dell'ex Comitato centrale, significa che bisogna voltare pagina. La sensazione più diffusa è che la politica nazionale non concluda nulla, avendo ceduto armi e bagagli all'Europa matrigna.
Gli italiani non pretendono che il loro Paese si risollevi: si accontenterebbero che smettesse di stare in ginocchio dinanzi ai burocrati di Bruxelles.

Infatti, si sono accorti che, se l'euro è difeso dalle banche e dai poteri forti, non può che essere una iattura per il popolo. Elementare, Watson

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