Politica

L'agenda Monti non esiste

Il governo ha fatto sua la ricetta Ue approvata da Berlusconi. Sono le misure lacrime e sangue ad averci messo in ginocchio

Il premier Mario Monti
Il premier Mario Monti

L’agenda Monti non esi­ste. Si tratta solo di un al­tro imbroglio, dopo quello dello spread , of­fensivo per la nostra democrazia, di quegli opportunisti di casa nostra di tante ambizioni ma di pochi voti che si vogliono appropriare del marchio Monti «a prescindere», come direbbe Totò. E che non sanno di cosa parlano. Riassunto delle puntate preceden­ti. Sono state le banche tedesche a causare la crisi, per risolvere i loro problemi interni (titoli tossici e relati­vo rischio di ricapitalizzazione), ven­dendo, a giugno 2011, obbligazioni in loro possesso del debito sovrano greco e italiano al fine di attrarre capi­tali, così da ridurre i rendimenti dei ti­toli di Stato tedeschi con conseguen­te febbre sui rendimenti dei titoli dei Paesi più esposti in termini di livello del debito o di debolezza bancaria, in­nescando la reazione a catena che ha finito per mettere in crisi lo stesso eu­ro.

Di conseguenza,nell’ultimo anno, gli investitori (le solite 20 grandi ban­che e società finanziarie che fanno il bello e il cattivo tempo sui mercati) hanno chiesto un premio molto alto per comprare titoli del debito pubbli­co dei Paesi più fragili dell’Eurozona, commisurato proprio al rischio di bre­akup , cioè di fallimento, della mone­ta unica, legato al fatto che le istituzio­ni europee, in ragione dell’imperfet­ta architettura della moneta unica, non sono state in grado o non hanno voluto rispondere agli attacchi specu­lativi scatenati dalla spericolata ma­novra delle banche tedesche. Di tut­to questo maledetto imbroglio ha be­neficiato, e continua a beneficiare, la Germania, che ai guadagni già accu­mulati dal 1999 in termini di surplus della bilancia dei pagamenti, senza alcun meccanismo redistributivo, grazie a un euro strutturalmente sottovaluta­to rispetto ai suoi fondamentali economici, ha aggiunto una ri­duzione dei rendimenti dei suoi titoli di Stato, dal 3% medio de­gli anni precedenti la crisi al­l’ 1,5% attuale, derivante pro­prio dalla corsa all’acquisto di Bund da parte degli investitori che, in un contesto europeo di indecisione e incertezza, l’han­no ritenuto l’unico «bene rifu­gio » in Europa. Obiettivo rag­giunto, dunque, per i tedeschi: aumento della domanda di tito­li di Stato, aumento del loro valo­re e riduzione dei rendimenti (valore e rendimento sono gran­dezze inversamente proporzio­nali). La finanza tedesca, priva­ta e pubblica, ha trasferito la cri­si potenziale del suo sistema bancario e del suo debito sovra­no sui Paesi più fragili dell’Euro­zona. Alla faccia delle regole e della solidarietà.
In Italia la tempesta perfetta ha comportato, nell’ultimo an­no, oltre a un insopportabile au­mento dei rendimenti dei titoli di Stato, con punte fino a oltre il 7%, un traumatico cambio di go­verno da uno democraticamen­te eletto a uno tecnico che in pri­mavera porterà a termine il suo mandato dopo aver attuato una folle politica sangue, sudore e la­crime, che ha definitivamente messo in ginocchio il Paese.

Ci si domanda cosa succederà per il dopo, attribuendo ai soliti mercati, magari capeggiati dal­la solita Merkel, una pressante richiesta di continuità, non si ca­pisce di che cosa: se del governo tecnico, di contenuti program­matici o di mera immagine. Da qui, nel triste dibattito di casa nostra, nasce l’equivoco del­l’agenda Monti, senza che nes­suno finora si sia chiesto cosa vo­glia effettivamente dire. Provia­mo a farlo noi.
Allo stato attuale, l’unica agenda vera, di cui Monti si è consapevolmente, esplicita­mente e inevitabilmente appro­priato, ha un altro nome: Berlu­sconi. Questa agenda constava e consta di 2 punti fondamenta­li: gli impegni presi con la Bce e con il Consiglio e la Commissio­ne europea, rispettivamente in ragione della lettera ricevuta dal governo italiano il 5 agosto 2011 e della lettera inviata dal governo italiano il 26 ottobre 2011.
Ne è derivata una serie di im­pegni che riguardavano, in so­stanza, rigore e riforme. Rigore, cioè pareggio di bilancio nel 2013, inserimento del relativo vincolo in Costituzione e appro­vazione del fiscal compact . Rifor­me, cioè l’insieme del pacchet­to concordato con l’Ue in tema di promozione e valorizzazione del capitale umano; efficienta­mento del mercato del lavoro; apertura dei mercati in chiave concorrenziale;sostegno all’im­prenditorialità e all’innovazio­ne;
semplificazione normativa e amministrativa; modernizza­zione della pubblica ammini­strazione; efficientamento e snellimento dell’amministra­zione della giustizia; accelera­zione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia; piano per il Sud; riforma dell’architet­tura costituzionale dello Stato.

Questa l’agenda Berlusconi, in parte già attuata con il decre­to legge di agosto 2011, mano­vra da 60 miliardi che ha antici­pato il pareggio di bilancio al 2013, e con il maxi-emendamen­to alla Legge di Stabilità dell’11 novembre sempre del 2011. Dei contenuti e della serietà di que­sta agenda però i mercati se ne sono bellamente infischiati. Evi­dentemente il problema non era rigore e riforme, ma, come abbiamo detto tante volte, la fra­gilità dell’euro. Ma per la con­giura mediatico-politica Berlu­sconi se ne doveva comunque andare e doveva arrivare Monti con i suoi tecnici. Così era scrit­to e così è stato fatto. Ricordia­mo tutti le telefonate di Angela Merkel al Colle più alto.
E il salvifico Monti, nel suo programma di governo, non può fare altro che assumere to­talmente l’agenda Berlusconi, con un’unica variante, dettata
dal peggioramento congiuntu­rale, di un’ulteriore manovra correttiva dei conti per 63 miliar­di di euro, nel triennio 2012-2014. Manovra che qua­lunque governo in quel momen­to avrebbe fatto. Dal 2008 al 2011 il governo Berlusconi ha va­rato 4 manovre di finanza pub­blica per 265 miliardi. Totale, 328 miliardi di euro per raggiun­gere il pareggio di bilancio nel 2013. Il governo Berlusconi ha contribuito per l’80% al conse­guimento dell’obiettivo, il go­verno Monti per il restante 20%. Il resto è propaganda.

Con le sue luci e le sue ombre, è questa l’agenda che l’Italia sta seguendo, declinata in negati­vo - per eccesso di zelo e per una certa qual sudditanza e voglia di accreditarsi nei confronti dei po­teri forti - dal governo Monti. Con l’aumento di almeno 3 pun­ti della pressione fiscale, in gran parte dovuta alla tassazione sul­la casa; con una cattiva riforma del mercato del lavoro; con una riforma delle pensioni che sta producendo più costi che bene­fici; e con la confusione mentale che sfiora il ridicolo in tema cre­scita.
Come volevasi dimostrare, dunque: la mitica, e risolutiva per tutti i guai, agenda Monti non è altro che un mix tra il rigo­re, le riforme e gli impegni per ul­teri­ori riforme ereditati da Berlu­sconi e le cattive misure e
l’over­shooting fatti da Monti, questi sì, con la pistola puntata alla tem­pia dalla Merkel ( pressione fisca­le e pensioni), dalla Cgil e dalla Fiom (mercato del lavoro). Il re­sto sono chiacchiere, pelose e in­teressate dei media, dei poteri forti e dei poteri burocratici or­mai al governo. Il tutto avvolto da una tragicomica bolla media­tica di consenso, a livello nazio­nale e internazionale. Ancora una volta, «a prescindere».
Piccola digressione: negli ulti­mi anni l’Italia ha vissuto den­tro due bolle: una di pregiudizi e demonizzazioni contro Berlu­sconi, indipendentemente dai dati di fatto e dalle cose realizza­te dal suo governo; e una tutta applausi, consensi, sorrisi e po­sitività che fin dall’inizio ha ba­ciato il governo Monti. Per la pri­ma Berlusconi ha portato l’Ita­lia al disastro; per la seconda Monti l’ha salvata. Non è vera né l’una né l’altra.

Infatti, i risultati della politica economica di Monti sono sotto gli occhi di tutti: recessione, re­cessione, recessione. Che signi­fica -2,5% di Pil nel secondo tri­mestre 2012; 10,7% di disoccu­pazione ad agosto 2012; inflazio­ne al 3,2% a settembre 2012 e pressione fiscale al massimo sto­rico del 45%. Significa uccisione dei consumi delle famiglie, bloc­co degli investimenti privati e pubblici, chiusura delle impre­se e licenziamento dei lavorato­ri, che distruggono la capacità produttiva e competitiva del Pa­ese, causando un’isteretica uc­cisione anche della crescita po­tenziale. Significa, infine, bloc­care la trasmissione della politi­ca monetaria che Mario Draghi ha cercato di far convergere pro­gressivamente verso l’imposta­zione espansiva adottata dalle altre banche centrali mondiali per uscire dalla crisi.
Riassumendo: il rigore e il pa­reggio di bilancio vengono dal governo precedente, mentre ap­partengono al governo Monti, anche per suo stesso riconosci­mento, le inutili e masochisti­che medicine amare che stanno producendo la più grande reces­sione dal Dopoguerra nel nostro Paese. Si aprono, a questo pun­to, due grandi opzioni per le for­ze politiche che tra pochi mesi saranno in campagna elettora­le: o il rigore e la crescita (agen­da Berlusconi, libero dal conser­vatore Tremonti) o il rigore e la recessione, come prosecuzione dell’attuale politica economica. Centrosinistra e centrodestra di­cano chiaramente cosa voglio­no.

Inutile, per entrambi gli schieramenti, nascondersi mise­ramente dietro qualcosa che non esiste, chiudendo gli occhi su quello che c’è, e che fa male.

Commenti