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Ne uccise tre ma se è matto niente galera

Il ghanese Kabobo, il "picconatore di Milano", uccise tre persone, ma invece che in galera potrebbe finire in una clinica psichiatrica. Ma chi ci garantisce che non compirà altri delitti?

Ne uccise tre ma se è matto niente galera

Adam Kabobo. Ricordate costui? L'11 maggio dello scorso anno, una brutta mattina, a Milano uccise a picconate tre persone. Motivo? Il ragazzo ghanese era nervoso. Per sfogarsi, si accanì col piccone sul citato numero di passanti. Morti e seppelliti. L'assassino fu identificato e ovviamente arrestato. Gli inquirenti cercarono di capire quale fosse il movente che lo aveva indotto a tanta efferatezza, ma non riuscirono nel loro intento. Fatale il ricorso a una perizia psichiatrica. Risultato: Kabobo non è incapace di intendere e di volere (non lo era al momento dei delitti) benché soffra di una forma di psicosi schizofrenica.

Vero o no? Chi può dirlo? È un fatto che il pluriomicida, non pago di averne già stesi tre nel modo descritto, e senza un vero perché, poco meno di due mesi orsono tentò di strangolare un compagno di cella, avendo sentito - afferma lui - delle voci dentro di sé che lo spingevano a stringergli le mani attorno alla gola. Ciò, secondo noi, dimostra che non si tratta di un soggetto molto raccomandabile. Ma potremmo sbagliarci, non essendo noi né psicologi né psichiatri. Ora gli avvocati dell'africano, facendo il loro dovere, hanno inoltrato ricorso al tribunale del riesame, ottenendo di sottoporre il proprio assistito a una seconda perizia.

Ci sembra giusto. A nostro trascurabile parere, infatti, Kabobo non deve avere tutti i fili attaccati. Però ci domandiamo: mettiamo il caso che i luminari confermino i nostri sospetti e dichiarino che l'uomo non ha il cervello a posto, che ne sarà di lui? L'ipotesi più accreditata è che egli non possa essere giudicato in un'aula di Corte d'assise, ma affidato a un manicomio in cui i medici gli impongano delle terapie idonee a rinsavirlo. I matti, in effetti, si curano e non si condannano. Fin qui, siamo d'accordo. Ci chiediamo soltanto per quanto tempo il ghanese sarà obbligato a rimanere nella struttura psichiatrica. Cinque, sei, sette anni? Poi, quale sarà il suo destino? Tornerà libero sano, quindi innocuo, oppure la follia presto o tardi forzerà ancora la sua volontà ingiungendogli di ammazzare di nuovo in un momento d'irritazione?

Il lettore comprenderà la nostra preoccupazione. Non vorremmo che il pluriomicida, scontato qualche annetto di manicomio, ripiombasse nel consorzio civile (avendo pagato il conto con la giustizia formale) e, magari seccato per qualche avvenimento storto, ricominciasse a dare fuori di matto usando il piccone. Non sarebbe carino. Queste nostre perplessità non nascono da una pregiudiziale diffidenza nei confronti di chi ha sgarrato perché privo di qualche rotella. Ci mancherebbe. È l'esperienza a suggerirci prudenza.

Alcuni giorni fa, a un detenuto nel carcere di Genova, che in passato ne aveva accoppati tre, e al quale era stata riconosciuta l'infermità mentale, fu concesso il permesso di uscire dalla cella per fare visita alla mamma. Ma invece di rientrare in prigione, a vacanza terminata, evase suscitando il terrore che ne combinasse altre. Compiuta una rapina, il criminale fu catturato e non successe più nulla di grave. Ma il precedente fa venire i brividi.

Il quesito è semplice e drammatico: se Kabobo, riconquistata la libertà, abitasse nel vostro condominio, dormireste sonni tranquilli? Io cambierei casa, quartiere, città, forse anche regione. Voi?

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