Politica

L'ultimo autogol di una Lega nei guai

Non bastavano scandali e il calo dei voti. Oggi il caso Cota rischia di dare una mazzata al Carroccio

Fiaccolata della Lega Nord contro la sentenza del Tar
Fiaccolata della Lega Nord contro la sentenza del Tar

Povero Roberto Cota, gli manca solo il rinvio a giudizio per completare l'opera buffa di cui è stato autore, forse inconsapevole. Il governatore leghista del Piemonte, pur avendo acquisito molti meriti nell'amministrare la Regione, oggi passa per uno che ha soltanto dei demeriti e non si sa che fine farà. A occhio e croce, possiamo dire che scomparirà dalla scena. Peccato per lui. Le bischerate si pagano care. Lo diciamo senza astio nei suoi confronti. Bisogna solo sapere che con questi chiari di luna, la Lega non poteva permettersi distrazioni.
Dopo le vicende del famigerato «cerchio magico», le prodezze dei rubagalline amici di Umberto Bossi e del suo «cassiere», le scope di Roberto Maroni costrette a «netà fò ol poler» (pulire il pollaio) e il calo mostruoso dei consensi, questo partito necessitava di ricostruirsi una reputazione per tentare un difficile rilancio. E invece adesso è obbligato ancora a difendersi da altri attacchi da parte della magistratura. Le mutande verdi di Cota sono diventate un simbolo di sciatteria e di superficialità: come si fa ad acquistare un paio di boxer e farli pagare - magari per distrazione, non importa - all'ente di cui sei il numero uno? Sappiamo, è una sciocchezza, ma le note spese e i rimborsi sono roba delicata, c'è poco da scherzare.
Ricordiamo cosa è accaduto a Renata Polverini nel Lazio: per una faccenda di ruberie da barboni e uno spreco di pubblico denaro, di cui ella non aveva alcuna colpa, la governatrice fu indotta a dare le dimissioni. Insomma, Cota sarà di sicuro una persona onesta, ma è impossibile che gli perdonino di aver consegnato alla segretaria lo scontrino delle mutande senza riflettere che la biancheria ciascuno se la deve comprare con i propri denari, non con quelli degli italiani.
Come giustificherà, il buon Roberto, i suoi shopping a scrocco? Non scorgiamo via di salvezza. Non bastasse questo squallido capitolo, l'avvocato Cota si trova ora davanti a una sentenza del Tar che invalida addirittura la propria elezione a governatore, avvenuta tre anni e mezzo orsono. Motivo? Non abbiamo ancora letto la sentenza (tardiva), ma si dice che le consultazioni siano state irregolari: liste strane, voti strani, un pasticcio. Vero o falso? Come si fa a dire? Il problema è che secondo il Tribunale amministrativo regionale (nato con l'istituzione delle Regioni: una boiata pazzesca) occorre annullare tutto e tornare alle urne perché il ricorso di Mercedes Bresso, avversaria (sconfitta) di Cota nel 2010, non solo è stato accolto, ma giudicato fondato.
Quindi, con un anno e mezzo di anticipo sulla scadenza naturale dell'amministrazione, in Piemonte gli è tutto da rifare. Subito. Data la situazione, ci spiega qualcuno come potrà il governatore silurato dai giudici regionali e perseguito da quelli nazionali ripresentare la propria candidatura in contrapposizione a quella di Sergio Chiamparino (Pd)? Non è escluso che il segretario della Lega, Matteo Salvini, lo proponga nuovamente quale aspirante presidente, ma sarebbe un errore. Cota - ragione o torto che abbia - si è bruciato, come d'altronde si è bruciata la Lega negli ultimi sventurati anni della propria esistenza.
Un partito, quello di Alberto da Giussano, che ha perso ogni appeal a causa di un comportamento, diciamo pure etico, discutibile (furti di pollame, molto squallidi anche se poco gravi) e, aggiungerei, tristissimo. Inoltre il Carroccio non ha più un programma suggestivo come quello di un tempo, quando vagheggiava la secessione e il federalismo fiscale, rivelatisi poi ingenue illusioni o veri e propri bidoni.

Non osiamo affermare che la Lega sia morta, ma che Cota sia un becchino è un fatto incontestabile.

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