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Chi sfrutta i proclami di un boss fuorigioco

Le minacce di Riina utilizzate per rilegittimare un processo che era stato incrinato

Chi sfrutta i proclami di un boss fuorigioco

Gentilissimi Marco Travaglio, Salvatore Borsellino e aderenti al movimento delle «Agende Rosse», le divisioni al Palazzo di Giustizia di Palermo, sulle quali ci ha illuminato pochi giorni fa Giuseppe Bianconi sulle pagine del Corriere della Sera, aprono la strada al dubbio che, come io ho più volte sostenuto (e come adesso sospettano anche alcuni Pm) le pubblicizzate «minacce di Riina siano state utilizzate anche mediaticamente per rilegittimare un processo (quello sulla trattativa Stato-mafia) che era stato incrinato dall'assoluzione del generale Mario Mori accusato della presunta mancata cattura di Provenzano nel 1995 (ora Mori è imputato anche per la trattativa, e gran parte delle fonti di prova sono le stesse»).

È più che plausibile che si siano interpretate come reali minacce i prevedibili sfoghi di un boss fuorigioco da 20 anni, sottoposto alle misure restrittive del 41 bis. D'altra parte, per un mafioso pluricondannato a numerosi ergastoli e senza alcuna speranza né via di fuga, è davvero ridicolo considerare serissimi i proclami perché ci si sarebbe avvicinati a «verità nascoste e pericolose con un processo che Riina mostra di temere come nessun altro». La sua posizione, infatti, non può peggiorare dall'accertamento di eventuali responsabilità nella cosiddetta «trattativa» della controparte politica.

Si tratta di letteratura e di retorica. In questo senso è molto più importante accertare le responsabilità e i conflitti fra magistrati, interessati ad accreditarsi come eroi a rischio della vita, così come denuncia, inascoltato, Gioacchino Basile, il sindacalista della Fiom-Cgil che ha fatto arrestare numerosi mafiosi e che tutt'oggi vive scortato.

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Tra i campioni dell'antimafia dei proclami, dove ognuno cerca di accreditarsi più puro dell'altro, si è distinto l'ex deputato regionale Livio Marrocco, ex capogruppo del Fli al Parlamento siciliano, nonché, dal 2008 al 2012, componente della Commissione regionale Antimafia. Marrocco è ora indagato per avere pagato la revisione del proprio motorino e acquistato una collezione di Diabolik con i soldi che il Parlamento siciliano destinava alle attività politiche dei gruppi parlamentari.

Sorge il dubbio che egli sia stato influenzato dalla lettura di testi tanto autorevoli.

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Recentemente Roberto Perotti, docente all'Università Bocconi di Milano, in una dettagliata ricerca, ha dimostrato come i costi della Corte Costituzionale rappresentano «forse il più grande scandalo della pubblica amministrazione e anche uno dei più nascosti». Giudici pagati oltre mezzo milione di euro l'anno, con benefit anche assurdi, come per esempio la bolletta del telefono di casa a carico dello Stato.

Non meno scandalo deve suscitare il costo delle prefetture e dei prefetti. Gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2012: mezzo miliardo di euro (502,80 milioni, per la precisione), di cui l'80% solo per pagare gli stipendi, pari allo 0,067% della spesa annua dello Stato. Un prefetto ha una retribuzione base annua lorda di 94.478,00 euro; una retribuzione di posizione che va da un minimo di 40.757,74 a un massimo di 55.657,74; e una retribuzione di risultato che va da 5.045,00 a 10.955,00. In pratica, può guadagnare fin o a 160mila euro. Il solo stipendio dei prefetti oggi in servizio costa allo Stato 120 milioni l'anno.

Due settimane fa il ministro dell'Interno Alfano ha nominato 20 nuovi prefetti, ovviamente senza sede. Perché, dunque, non abolire le Prefetture? Scriveva già nel 1944 Luigi Einaudi: «Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo».

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