Cronaca locale

Bozzetti, foto e abiti Al Museo Campari pure la moda è servita

A Sesto una galleria dedicata ai rapporti marchio-fashion: disegni di Armani & Co.

Quando Campari celebrò i 150 anni di vita della celebre azienda del settore delle bevande, decise di dotarsi di un «museo d'azienda»: era il 2010 e quel genere di progetti era parecchio in voga. Quasi subito però si è capito che non sarebbe stato un museo come altri: il progetto era firmato da un'archistar come Mario Botta, la sede scelta era lo storico stabilimento di Sesto San Giovanni e il materiale su cui lavorare l'archivio storico del marchio una miniera per qualsiasi appassionato di storia del costume del Novecento (3mila opere su carta, dalla Belle Epoque ad oggi, con pezzi pregevoli di artisti come Dudovich, Depero, Crepax, Nespoolo). Il risultato: la Galleria Campari è oggi un museo che funziona, attrae un pubblico di appassionati e ha un buon programma di visite guidate aperte a tutti (sul sito www.campari.com, i giorni e gli orari). Da venerdì presenta una chicca in più, grazie all'impegno di quella raffinata studiosa del costume che è Renata Molho, critica di moda e giornalista: «Storie di Moda. Campari e lo stile» (fino al 9 marzo) è infatti il nuovo progetto espositivo, dedicato all'esplorazione di una delle anime che compongono l' «universo Campari», ovvero la relazione tra il marchio e il mondo del fashion. L'immagine, per un'azienda che si occupa di bevande, le famose bitter, e che quindi insegue il proprio pubblico nel tempo libero, è tutto. Lo capì subito Davide Campari, figlio di Gaspare, fondatore dell'azienda: fu Davide, ottimo imprenditore, ad aprire il celebre Caffè Camparino in Galleria e a puntare su una pubblicità raffinata, con la complicità di artisti e designer del tempo. Percorrendo la galleria osserviamo bozzetti pubblicitari, fotografie, abiti, riviste e accessori (alcuni in prestito da maison e fondazioni di moda): tra le opere più affascinanti ci sono quelle realizzate per Campari da Fortunato Depero, Bruno Munari, Marcello Dudovich, Franz Marangolo, accostate e integrate alle creazioni e ai bozzetti dalla Fondazione Gianfranco Ferré e agli abiti scultura dalla Fondazione Roberto Capucci.

Si viaggia attraverso lo stile e la sua comunicazione, con alcuni felici cortocircuiti cronologici come quando vediamo i manifesti infarciti di decori della Belle Époque accostati ai bozzetti e agli abiti rigorosi di «re» Giorgio Armani e poi ancora i lavori pubblicitari «di protesta», tipici degli anni Sessanta, accanto alle creazioni di Laura Biagiotti che si lasciava ispirare dai colori e dal movimento futurista di Giacomo Balla. Se la moda, attraverso la pubblicità, è stata preziosa alleata di Campari, il cinema non è stato da meno: l'esposizione racconta la liason con il cinema, dai bozzetti pubblicitari che Franz Marangolo realizzava per Campari negli anni Sessanta, veri e propri omaggi ispirati alle figure di Brigitte Bardot e Audrey Hepburn alle eleganti, raffinate fotografie di Giovanni Gastel, dallo stile inconfondibile.

Tra i pezzi esposti, spiccano i lavori finiti in copertina di tante riviste fashion (da Vogue a W Magazine) e gli accessori disegnati da grandi stilisti per i divi del cinema, come le scarpe che Salvatore Ferragamo realizza per Judy Garland.

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