Cronaca locale

Cosa nostra non spara più ma punta su Expo e metro

Nel report stilato dalla Dia sulla mafia a Milano scompaiono «fatti delittuosi» e crescono gli affari

Luca Fazzo

Sono passati trent'anni da quando Nitto Santapaola, il boss catanese di Cosa Nostra, officiò l'accordo che avrebbe governato Milano da allora in avanti: la mafia siciliana si faceva da parte e lasciava ufficialmente ai clan calabresi la gestione del traffico di droga sotto la Madonnina, ovvero il più grande mercato d'Italia. Cosa Nostra si ritirava dal business ricco e caotico dei carichi di eroina e cocaina, dei camion, dei «cavalli» e si dedicava agli affari puliti.

Da allora, a quanto pare, poco è cambiato. E nel rapporto che la Dia di Milano ha inviato al Senato per fare il punto sulla penetrazione malavitosa nel capoluogo lombardo, il primo nome che compare è proprio quello di Santapaola che è da ventitré anni in galera, ma continua a governare. Si legge nel rapporto: «Nel semestre in esame (la seconda metà del 2015, ndr) non si sono verificati nella Regione episodi delittuosi immediatamente riconducibili a Cosa Nostra. La circostanza, più che suggerire uno stato di apparente eclissi della criminalità organizzata siciliana, potrebbe essere letta come il frutto di una più generale strategia di silente infiltrazione nel sostrato imprenditoriale della regione». E si rivela che «la Prefettura, in seguito a indagini dei centri Dia di Milano, Torino e Catania, ha emesso un provvedimento interdittivo nei confronti di una società con sede a Torino e legata alla famiglia Santapaola che aveva tentato di accreditarsi per i lavori di ammodernamento della metropolitana di Milano».

Le mani di Cosa Nostra sul metrò, insomma: a riprova che non c'é settore dei lavori pubblici, per quanto monitorato, che sia al riparo dalle mire del crimine organizzato. Secondo quanto si legge nel rapporto della Dia, il clan Santapaola puntava a entrare nel business della metro attraverso due famiglie di sua fiducia, gli Ercolano e i Cammisa, già colpiti l'anno scorso dalle misure antimafia della prefettura di Catania.

Ma se il ritorno di Nitto Santapaola - versione imprenditoriale - è il dettaglio indubbiamente più eclatante del report, anche il resto del materiale trasmesso al Parlamento non induce all'ottimismo. Se è vero che, statisticamente parlando, il numero di imprese criminali individuate e sventate è una parte minoritaria di quelle messe in atto dai clan, i dati forniti dalla Dia raccontano che la penetrazione nell'economia pulita di capitali mafiosi continua ad essere all'ordine del giorno. Accanto ai siciliani si cita la camorra napoletana, colpita dall'operazione «Risorgimento» che ha rispedito in cella un nome storico della criminalità di origine partenopea come Enzo Guida; ma si cita soprattutto la 'ndrangheta calabrese che ai settori classici di attività criminale, narcotraffico in testa, affianca il «radicamento nell'economia lombarda, risultata in molti casi permeabile grazie alla disponibilità di esponenti della pubblica amministrazione corrotti e di imprenditori senza scrupoli, desiderosi di ottenere un imprimatur mafioso per scardinare la concorrenza».

E, ovviamente, a farla da padrona è stata l'Expo dello scorso anno su cui, nonostante gli innumerevoli allarmi preventivi, si sono lanciati gli appetiti del crimine organizzato. Nel rapporto la Dia rivendica di aver fatto la radiografia a 5.216 aziende e a oltre 75mila persone fisiche, facendo scattare a opera della Prefettura ben 133 misure interdittive contro aziende in odore di criminalità.

Ma come si è visto meno di un mese fa, grazie alla retata coordinata da Ilda Boccassini, i controlli a tappeto non sono bastati a impedire che a costruire i padiglioni dell'esposizione arrivassero anche imprese come la Dominus, secondo la Procura direttamente collegate ai clan mafiosi di Caltanissetta.

Commenti