Cronaca locale

Il declino dei vecchi camorristi «Noi, fregati dai milanesi-bene»

Parla in aula Enzo Guida, veterano della criminalità «Macchè usurai, abbiamo perso il bottino di una vita»

Q uelli si sono presi tutti i soldi per cui mi ero fatto vent'anni di carcere e poi mi volevano pure ammazzare», dice Enzo Guida. «Meno male che ci avete arrestati se no ero già morto».

Esiste da sempre una Milano dove si incontrano due mondi: lo sporco e il pulito, il malavitoso e il colletto bianco. La storia delle mafie meridionali a Milano è anche quella dei tanti milanesi per bene che hanno scelto di fare affari con loro. E quella che si consuma ieri mattina al settimo piano del tribunale, in un'aula affollata, è la rappresentazione plastica - e a volte francamente divertente - delle dinamiche che legano queste due facce di Milano.

Sceglie, per la prima volta in vita sua, di parlare in pubblico Enzo Guida: lui e suo fratello Nunzio erano l'avanguardia della camorra a Milano, e vennero pure condannati e poi assolti per un paio di ammazzamenti sotto la Madonnina nella grande guerra tra cutoliani e anticutoliani. Adesso Enzo è quasi vecchio, ha addosso i segni del carcere, ma è ancora brillante. L'accento è quello del Vesuvio, ma lui si rivendica milanese. «Io con Napoli non ho niente a che vedere, sono napoletano ma se vado a Napoli mi perdo. Tutti i miei reati li ho fatti a Milano».

Lui e il suo vecchio compare Alberto Fiorentino sono accusati di estorsione e usura. «La banca della malavita», li definì efficacemente la conferenza stampa all'indomani del nuovo arresto, a novembre scorso. Entrambi spiegano al giudice - che per combinazione è napoletano anche lui - di non avere mai prestato soldi a nessuno, «erano investimenti». Tutti investimenti ovviamente in affari oscuri e un po' impapocchiati, «siamo due sfortunati napoletani che si sono fatta la galera», «stavamo cercando di sistemarci, abbiamo 'ste quattro lire, cerchiamo di investirle con queste persone per bene, ci facciano una piccola pensione per noi e per i nostri figli». Le carte dell'indagine della Squadra Mobile raccontano i metodi un po' bruschi con cui Guida e Fiorentino riscuotevano i crediti quando gli affari andavano male. A nobilitare il tutto, la location: il quartier generale di Guida non era al Giambellino ma sotto casa sua, nello chic di corso Indipendenza, e gli incontri con soci e clienti al Pandemus e da Dolce e Gabbana.

Ma il cuore vero, istruttivo, del processo è al capo d'accusa numero 5. «É stata - spiega Guida - come quel film, La Stangata, con quell'attore carino che somigliava a me. Ma noi eravamo le vittime». Tutto ruota intorno a un palazzo fantasma in una delle strade più belle della città, via Torquato Tasso. «Cioè, il palazzo c'era davvero ma quando siamo andati a vederlo la portinaia ci ha cacciato con la scopa». Guida e Fiorentino hanno da parte un paio di milioni, «i soldi salvati dai vecchi reati», insomma, i risparmi di una vita. E tre milanesi li convincono a investirli nell'affare di via Tasso. Ma l'affare sfuma, i soldi spariscono, e tra milanesi e camorristi il clima si fa pesante. Guida va a trovare Giovanni De Nicolò, uno dei milanesi, lo prende a ceffoni e gliene dice di ogni: «Tu mi fai i bocchini, tu, tuo padre, tua madre, tuo nonno, sua mamma, sua sorella, tuo figlio quando si sposerà anche tua nuora mi fa i bocc...». E più, specificamente. «Io pure tra duecento anni ti faccio ammazzare, pure quando muoio lascio detto a tremila persone che ti devono ammazzare a te e tutta la generazione».

Per questo, ieri il pm Francesca Celle chiede la condanna di Guida e Fiorentino a sedici anni di carcere. Ma per i due vecchi camorristi la storia è un'altra. Guida: «Io sono un delinquente con precedenti penali, e quello è un delinquente senza precedenti penali», «dopo che ci hanno truffato due milioni ci hanno preso in giro due anni, ne hanno fatte di cotte e di crude». E Fiorentino: «Ho saputo che mi volevano attingere». Attingere? «Sì, De Nicolò voleva farmi uccidere con una pistola». E chi gliel'ha detto? «Si vocificava». Insomma ci hanno fregato, «ci hanno fatto vedere la luna rint 'a buatta» «e noi ci siamo cascati come due babà».

Alla prossima udienza parla il loro avvocato, Angelo Colucci: non sarà un compito facile.

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