Cronaca locale

«La farmacia non è dei clan»: il giudice assolve tutti

Dopo l'inchiesta sulle infiltrazioni il Tar fa riaprire il negozio. E per il gip, il riciclaggio «non sussiste»

Cristina Bassi

Luca Fazzo

Alle 13 di ieri, le porte della farmacia di piazza Caiazzo si aprono sul sorriso cortese delle due dottoresse in camice bianco. Due anni fa, le stesse dottoresse respingevano in qualche modo gli assalti dei cronisti, dopo che l'antica «Farmacia Caiazzo», con le sue insegne art déco affacciate sulla piazza omonima, era salita alla ribalta delle cronache antimafia: conferenza stampa di Ilda Boccassini in Questura, il negozio - fondato nel 1907 - indicato come caso esemplare di penetrazione malavitosa nell'economia milanese. Il titolare, Giammassimo Giampaolo, fu indagato a piede libero. Giuseppe Strangio, direttore delle poste a Siderno, in Calabria, finì invece in galera, accusato di avere comprato la farmacia milanese con i soldi dei clan della 'ndrangheta, più esattamente delle famiglie Romeo e Calabrò. E sulla bella farmacia piovve all'inizio di quest'anno l'interdittiva antimafia della Prefettura. Conseguenza: la revoca della licenza da parte del Comune e dell'Ats. Chiusura immediata per motivi di mafia: primo caso in Italia, si disse.

Al doveroso allarme suscitato dall'inedito caso di penetrazione malavitosa in un settore delicato come quello delle farmacie, non è seguita però una conferma giudiziaria altrettanto netta. Anzi. Il primo segnale che le prove non erano considerate granitiche si era avuto prima dell'estate, quando il Tar della Lombardia aveva accolto - su richiesta dei titolari - la richiesta di sospendere gli effetti dell'interdittiva antimafia. L'udienza che dovrà entrare nei dettagli delle accuse non si è ancora tenuta, ma il tribunale amministrativo ha ritenuto che il ricorso sollevasse dubbi sufficienti a sospendere l'interdittiva in attesa della decisione finale. Conseguenza: riapertura immediata della farmacia. Nel frattempo la Procura archiviava le accuse contro Giampaolo, il farmacista.

Ma la botta più cospicua all'impianto della Procura antimafia è arrivata l'altro ieri, quando si è tenuto il processo a Giuseppe Strangio, il direttore delle Poste accusato di avere reimpiegato nella farmacia i soldi della mafia calabrese. Strangio, attraverso il suo legale Oliviero Mazza, aveva chiesto il giudizio abbreviato, convinto che gli atti dell'inchiesta fossero di per sé sufficienti a dimostrare la sua innocenza. E così è stato. Il giudice preliminare Giulio Fanales ha assolto con formula piena Strangio «perché il fatto non sussiste» dall'accusa di reimpiego con finalità mafiose per la vicenda della farmacia. I soldi investiti nella farmacia di piazza Caiazzo, secondo il giudice, saranno anche arrivati dalla Calabria ma non per questo erano soldi sporchi.

La Procura della Repubblica, che in udienza aveva chiesto la condanna di Strangio a nove anni di carcere, ricorrerà sicuramente in appello.

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