Cronaca locale

I geroglifici di Paul Klee alle origini dell'arte senza la multimedialità

Apre al Mudec un'esposizione di 100 dipinti del pittore tedesco, critico verso le mode

I geroglifici di Paul Klee alle origini dell'arte senza la multimedialità

Paul Klee, così lontano così vicino. Siamo abituati a vedere le sue opere riprodotte ovunque, sulle cartoline e sui magneti, le sue macchie di colore paiono un gioco infantile, i geroglifici un divertimento, e invece Klee (1879-1940) fu artista dal carattere deciso e tutt'altro che socievole, teutonico nel suo rigore, quasi snob nel suo atteggiamento di guardare al mondo, così critico e sferzante verso le posizioni à la page (populismo, femminismo, avanguardie varie). La sua parabola artistica è complessa, a tratti beffarda.

Se avete voglia di conoscerla meglio, andate al Mudec da oggi al 3 marzo, Paul Klee. Alle origini dell'arte, grazie alla cura meticolosa di Michele Dantini e Raffaella Resch, ci presenta il vero volto di Klee. Il percorso è scandito in cinque sezioni e un centinaio di opere (con alcuni prestiti notevoli, come quello dalla Fondation Beyeler di Basilea, e la collaborazione del Zentrum Paul Klee di Berna): non è, quindi, una di quelle mostre «experience», con poca sostanza e molto multimediale, ma è una mostra-esperienza perché ci fa entrare davvero nell'universo immaginifico di Klee, svelando che cosa lui leggesse, ammirasse, guardasse prima di mettersi al lavoro.

La prima sorpresa: le caricature. Sì, il pittore dei passeggi attratti, quasi pixelati, il campione dell'astrazione e della precisione geometrica, è stato anche raffinato e mordace caricaturista. Le sue «Invenzioni», nella prima sala della mostra, ne rivelano la verve polemica, satirica, grottesca: ammiriamo i suoi bianco-e-nero cesellati, ispirati alle antiche incisioni (Dürer su tutti) e ai dipinti della tradizione medievale. «Bisogna agire da eretici per affrontare le cose in profondità», diceva Klee ed eretici sono in effetti i suoi lavori che attingono alla decorazione islamica (come dimostrano le tavole tunisine in mostra, acquistate dall'artista durante un viaggio) e a quella dei mosaici bizantini. Il Mediterraeno è la culla culturale di cui lo svizzero Klee (tedesco di origine) si nutre: sintetizzando a modo suo il Dna germanico e l'animo classico, è primitivo a modo suo. Usa lui stesso questa parola dopo il suo primo Grand Tour a Roma, nel 1902, stregato dall'arte paleo-cristiana: in mostra, il confronto («Chiamiamolo dialogo selvaggio», dice Michele Dantini, tra i massimi studiosi di Klee) con le fonti visive cui attingeva l'artista è davvero ben riuscito, complice l'allestimento e il valido apparato multimediale. Sala dopo sala osserviamo così la sfaccettata personalità di Klee: lo scopriamo «illustratore cosmico», eletto con la missione di comunicare attraverso l'arte il mondo ultraterreno al pubblico (provate a contare quanti angeli trovate: in mostra ce ne sono di bellissimi e inquietanti, come quello della morte, opera-testamento che chiude il percorso espositivo).

Klee è un visionario: inventa geroglifici e linguaggi nuovi mescolando la calligrafia islamica, le rune celtiche, gli ideogrammi egizi, la scrittura cuneiforme. Osserviamo i suoi «paesaggi scritti» e sappiamo già che non potremmo mai tradurli, ma basta subirne il fascino. E se la passione etnografica e per l'infanzia costituiscono il punto più suggestivo della mostra - complice l'efficace ricostruzione del delizioso teatrino delle marionette creato per il figlio Felix - è l'ultima sala, con la sua infilata di capolavori astratti, a togliere il fiato. Tra paesaggi rocciosi, vedute alpine, nature morte, ritratti e angeli caduti c'è tutta l'inquietudine visiva di Paul Klee, capace con le sue «scacchiere di colori», di suggerire la complessità del mondo.

Super contemporaneo, Paul Klee.

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