Cronaca locale

«Io, madrilena lanciata da Magistretti»

L'architetto spagnolo racconta i suoi primi Saloni: «Milano oggi è al top»

Pamela Dell'Orto

La nuova scala scultorea ci proietta sotto la cupola che ha rivisto la luce dopo anni di oblio. Attraversiamo il grande soppalco, il giardino di graminacee, la terrazza e ci troviamo in un grande spazio fluido fatto di una zona conviviale con biblioteca, uffici, cucina e sala riunioni a vista. È il nuovo progetto di Patricia Urquiola per lo showroom Cassina di via Durini. A farci da cicerone è proprio lei, la signora del design, icona di quell'eleganza informale e contemporanea che ritroviamo anche nei suoi progetti, a partire da Bowy-sofa , il suo nuovo divano sartoriale. Guru osannata in tutto il mondo, oggi direttore artistico di Cassina, è spagnola di nascita e milanese di adozione. «Madrid mi stava stretta», racconta, «di Milano mi sono innamorata subito».

Racconti.

«Sono della generazione di Almodovar, sono cresciuta nella Madrid di fine anni '70. A Milano sono arrivata a 23 anni, entravo nel quarto anno di Architettura, ero una pre-Erasmus, io sono un po' pre in tutto e lo dico ironicamente...».

Era più facile iniziare allora?

«Come oggi. Io ho avuto la fortuna di fare la tesi con Achille Castiglioni, ero affascinata dal design, ma non sapevo da dove cominciare. Sapevo solo che volevo lavorare da De Padova: il suo era un altro mondo, anche solo a partire da come facevano le vetrine! A fine anni '70 e nei primi '80, tutti gli stranieri sognavano Milano. Io ero innamorata del lavoro di transizione di Maddalena De Padova. Allora, oltre a lei, c'erano Memphis e c'era il razionalismo. Avendo studiato a Madrid con tanto post-moderno, il linguaggio di Magistretti e di De Padova e mi ha aiutato molto, mi ha traghettato verso questo millennio in una maniera molto più semplificata».

Ricorda i suoi primi Saloni?

«Aiutavo De Padova, facevamo noi un Fuorisalone. Aiutavo anche col catering, che era nella stessa stanza dell'ufficio tecnico».

Lei ha anticipato anche il Fuorisalone, le piace così com'è oggi?

«Sono molto orgogliosa di quel che portiamo noi del settore a Milano, del pubblico che arriva: c'è di tutto ma c'è anche gente interessante, trasversale. I negozi vendono più che a Natale, la gente invade tutta la città. Il sistema è storico e molto complesso, ma ci sono molti strumenti digitali per scegliere i tuoi percorsi: la complessità va gestita. Magistretti mi diceva: navigherai in acque molto più complesse, perché la comunicazione si sovrapporrà a tutto. Allora non capivo».

L'ha aiutata anche nel lavoro?

«Magistretti come Castiglioni non dicevano mai come dovevi fare: bastava vederli lavorare. E io ho avuto la fortuna di avere vicino uno nell'insegnamento, l'altro nel lavoro. Castiglioni veniva persino da De Padova a fare le vetrine!».

Cosa manca alla Milano del Salone?

«Dobbiamo lavorare di più perché la gente si muova e viva in modo più agile e comodo nella città. Ristoranti, hotel, mezzi, le infrastrutture devono funzionare meglio.

La densità crea molti disagi: dobbiamo lavorare su quello».

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