Cronaca locale

Il porto a Milano, un sogno «ripescato»

«La Darsena di Porta Ticinese sarà prossimamente ingrandita e attrezzata per metterla in grado di soddisfare le esigenze portuali della città...». Un porto a Milano? In vista dell´Expo 2015? No, questo bel progetto che tanto lusingava l´inesauribile intraprendenza meneghina, è di quasi un secolo fa. Quando il Comune stava per varare una storica trasformazione urbanistica: costruire un grande scalo che, nell´alveo del sempre attuale e necessario trasporto fluviale (vanto di tante città europee), collegasse la metropoli all´Adriatico attraverso un canale fino al Po.
Un´idea che sulla carta, non solo quella geografica ma anche quella intestata del Comune, aveva raccolto moltissimi consensi. Un po´ per memorie imperiali, la Milano romana un´ampia zona portuale doveva averla (tra le via Sforza, Pantano e Larga); un po´ per antica ambizione, se anche il buon Bonvesin de la Riva, pur convinto - nel 1288 - che la città di Ambrogio doveva ammettere che un porto avrebbe scaricato sulle rive mediolanensi «mirabile utilità e accrescimento di gloria». Un sogno, quello dell´autore de «Le meraviglie di Milano», che solo molti secoli dopo parve prendere consistenza. Nel 1918, quando Milano ha finalmente una sua Azienda Portuale, istituita con decreto legge. E questa, con il Comitato di Navigazione Interna, la Camera di Commercio e il Comune, ha già varato il grandioso progetto, che supera l´iniziale idea di potenziare la Darsena: nella zona di Rogoredo, vicino alla stazione, sorgerà un bacino di oltre 255mila metri quadrati, dove «sei chilometri di banchine daranno una potenzialità di scarico, con tutte le moderne attrezzature, di ben più di 5 milioni di tonnellate».
Tutto, dunque, sembrava avviato verso la posa della prima pietra, invece l´iniziativa si arenò nel più imprevedibile dei modi: a meno di due mesi dalla marcia su Roma, il 17 dicembre 1922, Mussolini bloccò tutto. Da allora il sogno di dotare Milano di un grande porto europeo si è barcamenato tra categorici de profundis e ottimistici ricoveri in sale di riqualificazione urbanistica.
Con due soli risultati concreti, i 15 chilometri, realizzati tra Cremona e Pizzighettone, del famoso canale Milano-Po, e la fermata «Porto di mare» della linea gialla del metrò, a ricordare quei terreni che, oltre il Corvetto, avrebbero dovuto ospitare bacini e banchine.
Eppure l´idea di un grande raccordo commerciale con il Po e con l´Adriatico non è affondata per sempre. Da qualche tempo, al contrario, sembra riemersa dal catalogo meneghino delle occasioni perdute. Ne ha parlato Roberto Castelli in un´intervista al Corriere della Sera: «Il progetto è antico - ha detto il sottosegretario alle Infrastrutture - ma recentemente è stato ripreso dalla Regione. Del resto il trasporto fluviale funziona dappertutto in Europa e non si capisce perché non lo si dovrebbe utilizzare anche in una realtà congestionata come quella milanese e padana». Pare, dunque, che attorno al progetto sia tornato a condensarsi un po´ di quell´ottimismo che aveva già caratterizzato gli anni Sessanta. Quando i «portuali» irriducibili erano tornati all´attacco, facendo le cose in grande.
Addirittura con una bella mostra (1963) a Palazzo Reale - patrocinata dal presidente della Repubblica, Antonio Segni - dov´erano bellamente esposte le ragioni storiche, tecniche, ambientali, commerciali e perfino letterarie di una linea diretta con l´«Adriatico selvaggio».
«Milano metropoli europea, l´unica eppur non la minore che non è sull´acqua, potrà - portata sul mare - assurgere a tale e tanta potenza da produrre veramente quel tanto decantato miracolo economico», così si apriva il catalogo dell´esposizione. Anche allora il porto milanese aveva respiro e ambizioni europee, e tale era stato dichiarato dalla conferenza dei ministri dei Trasporti della Cee. Sull´onda dell´entusiasmo qualcuno scrisse ch´era finalmente iniziato il futuro delle idrovie italiane. Un futuro che finora non è andato oltre i 15 chilometri del famoso canale Cremona-Pizzighettone.
Meglio, insomma, non far troppo conto sui remi dell´ottimismo.
Lo stesso archivio, con i suoi titoli di cronaca, mostra impietosamente il mulinello degli sterili rilanci: «Da Milano a Venezia lungo i Navigli. Ripescato il progetto dell´idrovia: costerà 170 miliardi e sarà pronto nel 2005. L´iniziativa, che prevede anche il collegamento con il lago Maggiore e la Svizzera, presentata e approvata da Palazzo Marino», 24 novembre 1998. Oppure: «Faremo l´autostrada sull´acqua come vuole Bossi». Il ministro delle infrastrutture Lunardi ripropone il progetto di collegare Milano all´Adriatico con un canale navigabile, 6 agosto 2004.
Ma è anche vero che ora all´orizzonte c´è un certo Expo, che potrebbe rivelarsi una sorta di pietra filosofale per trasformare in realtà anche i progetti più arditi. E poi, alla base, c´è sempre l´antico amore dei milanesi per le loro acque, se quest´anno il ritorno alla navigazione sui Navigli ha registrato un vero boom di presenze: più 33 per cento rispetto al 2007 (fonte Sole24ore).

Quasi 19mila passeggeri, solo il 10 per cento turisti, tutti sicuramente d´accordo con il buon Bonvesin: a Milano manca ancora qualcosa.

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