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PDL E CARROCCIO TUTTA LA VERITA'

Domani il raduno lumbard a Pontida, la Lega abbaierà ma senza mordere il presidente del Consiglio. Ma la vera incognita della giornata politica è Roberto Maroni

PDL E CARROCCIO 
TUTTA LA VERITA'

Il destino ha riservato alla Lega il ruolo della lepre che va sempre e comunque inseguita, vuoi per impallinarla vuoi per proteggerla ed evitare che la impallini qualcun altro. Il cacciato­re in questo momento è la sinistra che vorrebbe catturare Umberto Bossi per due motivi. Primo. Sottrarlo a Silvio Berlu­sconi e alla sua coalizio­ne al fine di far cadere il governo. Secondo. Coop­tarlo in una nuova mag­gioranza alternativa a quella esistente, e tenta­re di mettere in piedi un esecutivo tecnico (o di sa­lute pubblica o di transi­zione) che dovrebbe du­rare il tempo necessario a cambiare la legge eletto­rale, in modo che le pros­sime consultazioni siano vinte dagli avversari del Cavaliere. Il progetto, giova ricor­darlo, non è nuovo. Nel 1994 fu realizzato. Al­l’epoca, come adesso, la Lega era al governo con Forza Italia e Alleanza na­zionale. Ma fu sedotta da Massimo D’Alema e la sua orchestra, e passò con gli ex o post comuni­sti sostenendo il gabinet­to Lamberto Dini. L’ope­razione fu denominata «ribaltone». Nel 1996 si andò antici­patamente alle urne, vin­se Romano Prodi, e la le­pre leghista, dato che non serviva più ai giochet­ti progressisti, fu scaccia­ta, libera di scorrazzare sui prati della Padania, non più considerata dai compagni una costola della sinistra, ma un mo­vimento di buzzurri, igno­ranti ed egoisti, indegno di sedere al tavolo del­l’esecutivo. Trascorse un lustro, durante il quale il Carroccio non si fece ri­morchiare da nessuno. Era convinto di poter pun­tare alla secessione con l’aiuto del potentissimo dio Po, alle cui sorgenti l’Umberto e il suo popolo bevvero troppo, illuden­dosi di essere pronti per fondare la Repubblica del Nord. Anzi, per fon­darla la fondarono, ma so­lo platonicamente. Poiché Platone e il celo­durismo avevano e han­no poche affinità, nel 2001 la lepre nordista si fe­ce prendere per le orec­chi­e da Berlusconi e stabi­lì con lui un accordo: scur­dammoce ’o passato e ri­cominciamo a lavorare insieme. E insieme vinse­ro le elezioni politiche. Furono cinque anni tribo­­lati, però il patto resse. Da allora l’alleanza non è più stata in discussione. Né lo sarebbe ora se il cen­trodestra n­on avesse rice­vuto due sberle nel giro di poche settimane: una al­le amministrative e una al referendum. Due sber­le che hanno lasciato il segno, e risvegliato in qualche dirigente padano il desiderio di tor­nare a godersi la libertà. In altre parole tutt’altro che meta­foriche: vari leghisti ne hanno piene le balle di stare con il Cavaliere e aspirano a mollarlo. Nel partito co­s­toro costituiscono una maggioran­za o una minoranza? Lo sapremo do­mani, quando a Pontida salirà sul pulpito Umberto Bossi per dettare la linea ai propri seguaci. In attesa dell’evento, la sinistra, esattamente come diciassette anni fa, ha smesso di disprezzare i nordisti. Ora li ritie­ne, viceversa, gente con la quale è opportuno dialogare perché tutto sommato ha il senso della responsa­bilità e, magari, è pure in grado - se scarica il premier - di essere utile al­la causa di Bersani Pierluigi e Vendo­la Nichi e soci. La causa è sordida, ma all’opposi­zione non importa. Il ribaltone è en­t­rato nel bagaglio culturale della po­litica italiana, e farvi ricorso sembra a tutti lecito se non addirittura dove­roso. Sicché i progressisti non si ver­gognano di corteggiare la Lega. C’è solo da sperare che i leghisti si vergo­gnino di accettare il loro corteggia­mento e lo rifiutino. Ci sono cascati una volta, la seconda sarebbe trop­po. Errare humanum est, persevera­re autem diabolicum. La previsione è che domani Bossi ribadisca eterna fedeltà all’amico Silvio, pur ponendo delle condizio­ni: basta guerra in Libia, per esem­pio, e qualche correzione alla rotta; che rassicuri la base circa il federali­smo e la sua applicazione pratica; in­somma, che pronunci un discorso consolatorio.Ma c’è un ma.Se il pro­gramma annunciato non sarà modi­ficato, se cioè parlerà solamente lui, il leader, probabilmente il governo non avrà nulla da temere. Se invece, altri dirigenti avessero diritto a dire la loro, come Maroni, allora non si escluderebbero colpi di scena. Non è un segreto che il ministro dell’In­terno interpreti i sentimenti di stan­chezza dell’ala più intransigente del partito; e da lui potrebbero arri­vare novità poco liete sulla saldezza della coalizione di maggioranza. Ecco perché la vigilia di Pontida è ricca di incognite.

Non rimane che aspettare. Un pizzico di inquietudi­n­e nel centrodestra è più che giustifi­cato. Un po’ meno giustificata è l’idea dell’opposizione di utilizzare la spada di Alberto da Giussano per trafiggere il Cavaliere.

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