Il destino ha riservato alla Lega il ruolo della lepre che va sempre e comunque inseguita, vuoi per impallinarla vuoi per proteggerla ed evitare che la impallini qualcun altro. Il cacciatore in questo momento è la sinistra che vorrebbe catturare Umberto Bossi per due motivi. Primo. Sottrarlo a Silvio Berlusconi e alla sua coalizione al fine di far cadere il governo. Secondo. Cooptarlo in una nuova maggioranza alternativa a quella esistente, e tentare di mettere in piedi un esecutivo tecnico (o di salute pubblica o di transizione) che dovrebbe durare il tempo necessario a cambiare la legge elettorale, in modo che le prossime consultazioni siano vinte dagli avversari del Cavaliere. Il progetto, giova ricordarlo, non è nuovo. Nel 1994 fu realizzato. All’epoca, come adesso, la Lega era al governo con Forza Italia e Alleanza nazionale. Ma fu sedotta da Massimo D’Alema e la sua orchestra, e passò con gli ex o post comunisti sostenendo il gabinetto Lamberto Dini. L’operazione fu denominata «ribaltone». Nel 1996 si andò anticipatamente alle urne, vinse Romano Prodi, e la lepre leghista, dato che non serviva più ai giochetti progressisti, fu scacciata, libera di scorrazzare sui prati della Padania, non più considerata dai compagni una costola della sinistra, ma un movimento di buzzurri, ignoranti ed egoisti, indegno di sedere al tavolo dell’esecutivo. Trascorse un lustro, durante il quale il Carroccio non si fece rimorchiare da nessuno. Era convinto di poter puntare alla secessione con l’aiuto del potentissimo dio Po, alle cui sorgenti l’Umberto e il suo popolo bevvero troppo, illudendosi di essere pronti per fondare la Repubblica del Nord. Anzi, per fondarla la fondarono, ma solo platonicamente. Poiché Platone e il celodurismo avevano e hanno poche affinità, nel 2001 la lepre nordista si fece prendere per le orecchie da Berlusconi e stabilì con lui un accordo: scurdammoce ’o passato e ricominciamo a lavorare insieme. E insieme vinsero le elezioni politiche. Furono cinque anni tribolati, però il patto resse. Da allora l’alleanza non è più stata in discussione. Né lo sarebbe ora se il centrodestra non avesse ricevuto due sberle nel giro di poche settimane: una alle amministrative e una al referendum. Due sberle che hanno lasciato il segno, e risvegliato in qualche dirigente padano il desiderio di tornare a godersi la libertà. In altre parole tutt’altro che metaforiche: vari leghisti ne hanno piene le balle di stare con il Cavaliere e aspirano a mollarlo. Nel partito costoro costituiscono una maggioranza o una minoranza? Lo sapremo domani, quando a Pontida salirà sul pulpito Umberto Bossi per dettare la linea ai propri seguaci. In attesa dell’evento, la sinistra, esattamente come diciassette anni fa, ha smesso di disprezzare i nordisti. Ora li ritiene, viceversa, gente con la quale è opportuno dialogare perché tutto sommato ha il senso della responsabilità e, magari, è pure in grado - se scarica il premier - di essere utile alla causa di Bersani Pierluigi e Vendola Nichi e soci. La causa è sordida, ma all’opposizione non importa. Il ribaltone è entrato nel bagaglio culturale della politica italiana, e farvi ricorso sembra a tutti lecito se non addirittura doveroso. Sicché i progressisti non si vergognano di corteggiare la Lega. C’è solo da sperare che i leghisti si vergognino di accettare il loro corteggiamento e lo rifiutino. Ci sono cascati una volta, la seconda sarebbe troppo. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. La previsione è che domani Bossi ribadisca eterna fedeltà all’amico Silvio, pur ponendo delle condizioni: basta guerra in Libia, per esempio, e qualche correzione alla rotta; che rassicuri la base circa il federalismo e la sua applicazione pratica; insomma, che pronunci un discorso consolatorio.Ma c’è un ma.Se il programma annunciato non sarà modificato, se cioè parlerà solamente lui, il leader, probabilmente il governo non avrà nulla da temere. Se invece, altri dirigenti avessero diritto a dire la loro, come Maroni, allora non si escluderebbero colpi di scena. Non è un segreto che il ministro dell’Interno interpreti i sentimenti di stanchezza dell’ala più intransigente del partito; e da lui potrebbero arrivare novità poco liete sulla saldezza della coalizione di maggioranza. Ecco perché la vigilia di Pontida è ricca di incognite.
Non rimane che aspettare. Un pizzico di inquietudine nel centrodestra è più che giustificato. Un po’ meno giustificata è l’idea dell’opposizione di utilizzare la spada di Alberto da Giussano per trafiggere il Cavaliere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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