Guerra in Ucraina

Armi all'Ucraina: cosa c'è dietro la missione texana di Boris Johnson

L'ex premier britannico è stato inviato nel Lone Star State da un think tank per smuovere le coscienze dei conservatori americani nei confronti del sostegno militare a Kiev. Difficile dire quanto il suo sforzo (per il quale non ha richiesto compensi) possa aver sortito gli effetti sperati.

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Non è un mistero. Un ala del Partito Repubblicano americano comincia a non comprendere più perché bisogni continuare a sostenere l’Ucraina nella sua lotta contro l’invasione russa. Se da un lato il governatore della Florida Ron DeSantis, fresco di candidatura alle primarie presidenziali del 2024, ha definito il conflitto come una disputa territoriale (pur chiamando Putin “criminale di guerra”), Donald Trump ha detto di avere la soluzione alla guerra per farla finire in 24 ore. Ricetta rivelata dal figlio Donald Junior su Twitter: cessare immediatamente la fornitura di armi a Kiev. Insomma, una crisi di fiducia che anche se non coinvolge la maggioranza del partito (il leader al Senato Mitch McConnell, fresco di riconferma lo scorso novembre con il voto di 37 senatori, è un fautore dell’invio di ogni armamento possibile), rischia di mettere a repentaglio i consensi per la gestione americana della guerra, da tempo in crisi. E non per le sorti del presidente Biden, che i repubblicani istituzionali criticano per aver armato con il contagocce la resistenza di Kiev per timore di ripercussioni putiniane, ma per ricordare il ruolo avuto dai repubblicani nel corso della Guerra fredda.

E chi meglio dell’ex premier britannico Boris Johnson, già alleato chiave del presidente Trump nell’ultimo biennio, per ricordare al Gop il loro ruolo storico? Non però a Washington, dove non solo c’è una maggioranza liberal schiacciante nell’elettorato, ma si rischia di fare il solito giro nei circoli che contano a livello mediatico, ma non influenzano il cuore pulsante dell’America profonda. Quindi il Center for European Policy Analysis (Cepa), un think tank della Capitale che sostiene l’Ucraina, ha deciso di mandare Johnson in Texas per riaccendere la fiamma del vecchio repubblicanesimo. Il “Lone Star State”, stato di residenza della famiglia Bush, è lo stato che deciderà il destino delle prossime presidenziali, rappresentando il cuore della tradizione conservatrice americana. La missione di Johnson si è svolta tra Dallas, una delle capitali economiche dello Stato e Austin, dove ha sede la capitale statale e dove Johnson ha avuto un incontro con il governatore Greg Abbott, ufficialmente per espandere i legami commerciali tra Texas e Regno Unito.

Com'è andato il meeting conservatore a Dallas

L’incontro di Dallas però ha avuto delle caratteristiche significative: intanto per questo intervento Boris Johnson non ha chiesto alcun compenso. Una rinuncia importante, dato che solo in questi primi cinque mesi l’ex premier inglese ha raccolto circa 5 milioni di dollari tramite inviti a conferenze.

Cos’ha detto però Johnson a una platea di deputati conservatori, intellettuali e imprenditori texani? Semplice: il sostegno all’Ucraina rappresenta un investimento sicuro. I 50 miliardi stanziati dall’amministrazione dell’odiato Joe Biden. “Sono una piccola spesa per un grande ampliamento della sicurezza globale” a favore degli Usa. Per quanto riguarda l’argomento principale dei fautori della cessazione dell’invio di armi, non è vero che il conflitto non c’entra niente con la Cina, su cui gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi. Anzi “una vittoria di Putin avrebbe ramificazioni terribili anche per l’area del Mar della Cina meridionale”, ha rimarcato Johnson. Il quale ha aggiunto: “Dal punto di vista di Pechino, ci stanno osservando e hanno capito che un loro avventurismo nei confronti di Taiwan comporterebbe seri rischi”.

Boris Johnson in Texas
L'ex premier britannico Boris Johnson a colloquio col governatore del Texas Greg Abbott.

La promessa di Boris Johnson

Johnson ha tranquillizzato la platea anche sulle tempistiche del sostegno militare americano: non sarà infinito, anche perché ci sono ottime prospettive su una controffensiva estiva dell’esercito ucraino. L’ex primo ministro ha anche detto che si deve mettere in conto “un completo collasso militare della Russia”.

C’è un però: quanto effetto possono aver avuto le parole di Johnson, uno dei principali fautori della Brexit e noto per essere stato uno dei leader della cosiddetta “onda populista” del conservatorismo globale?

Difficile quantificarlo. Possiamo però prendere in esame le parole di Donald Trump, recentemente intervistato da Nigel Farage sulla testata televisiva Gb News: l’ex premier, secondo l’ex presidente, sarebbe diventato “un po’ troppo liberal”.

Bisogna vedere quindi se Johnson ha smosso le coscienze oppure se anche lui, come Mitch McConnell, è considerato “un alleato occulto” degli odiati democratici.

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