Politica estera

Perché l'Europarlamento rischia di diventare il Vietnam

La maggioranza Ursula non esiste più. Al Parlamento europeo socialisti e popolari sono in piena rivalità. Il voto odierno lo testimonia

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La maggioranza Ursula non esiste più. Il voto al Parlamento europeo sulla Legge per il ripristino della natura, lo conferma. Solo la defezione di ventuno esponenti del Partito popolare europeo ha salvato e rimandato al giudizio finale del Consiglio europeo la discussa legge, mentre i membri della coalizione di governo italiana divisi tra Ppe (Forza Italia), Ecr (Fratelli d'Italia) e Id (Lega) hanno votato compatti per affossare la legge.

Emerge un dato fondamentale: il gruppo dei Socialisti e Democratici di cui fa parte anche il Partito Democratico italiano e quello del Ppe, assi portanti a sostegno della Commissione di Ursula von der Leyen, sono su molti temi talmente spostati su posizioni differenti nel loro orientamento maggioritario da lasciar pensare che nei dieci mesi che ci separano dalle Europee 2024 Strasburgo e Bruxelles saranno un Vietnam. Il fatto stesso che la Commissione guidata da un esponente popolare abbia spinto così tanto su una legge che non rispecchia più l'attuale assetto di potere dell'Europa e gli equilibri a venire, venendo poi commentata a caldo da un esponente socialista come Frans Timmermans, lo testimonia.

Da destra Isabella Tovaglieri della Lega attacca: "la proposta di legge sul ripristino della natura, che prevede di destinare porzioni di terreni coltivati e di fiumi alla ricostruzione degli ecosistemi, sottraendoli alle attività agricole, zootecniche e ittiche" rischia di produrre "danni incalcolabili per questi settori".

Rincara la dose Massimiliano Salini, eurodeputato di Forza Italia, va all'attacco definendo la proposta di legge "irresponsabile e dannosa", aggiungendo che "la pervicacia della sinistra nell’ignorare le ragioni di famiglie e imprese è pericolosa e va contrastata con determinazione".

Invece a nome della Commissione Timmermans esulta: quello di Strasburgo "è stato un voto cruciale per il futuro del Green Deal e per gli obiettivi di neutralità climatica". Ma non coglie il dato fondamentale. Il sistema politico di "grande coalizione" all'europea su cui si fonda la posizione del vicepresidente della Commissione è franato. E in futuro la negoziazione tra la Commissione europea e la base del Parlamento di Strasburgo sarà più complessa. Specie se in futuro il nuovo emiciclo premierà formazioni come i Conservatori e Riformisti (Ecr) a scapito del Partito socialista europeo e forze come i liberali di Renew Europe e gli stessi esponenti del gruppo europeo di Giorgia Meloni saranno decisivi nel processo di decision-making europeo. Nuove forze dovranno essere cooptate e visto il peso crescente delle destre europee un'egemonia "progressista", declinata ora in salsa popolare ora nella versione netta socialdemocratica, su temi come l'ambiente e i diritti sarà più difficile da consolidare.

Al muro contro muro ora si vince, ora si perde. Ma quanto detto da Brando Benifei del Pd, e cioé che "un segnale per il futuro" è stato lanciato punendo "il Ppe alleato con l'estrema destra" può essere inteso anche in forma opposta. E cioè pensare al fatto che l'irrigidimento dei liberal europei su molti temi, dall'auto elettrica alla questione della legge sul ripristino della natura, ha reso ingovernabile il Parlamento europeo. E minato la base di consenso della Commissione in una fase critica in cui dal Chips Act alle manovre sulle munizioni, dal piano RePower Eu sull'energia al futuro del Patto di Stabilità, servirebbe maggiore unità. "L'Europa va avanti, senza mai dimenticare il lavoro e le risorse necessarie", sottolinea Benifei, dimenticando che l'Europa nasce dalle concordie e dal superamento delle crisi. Non dal braccio di ferro. La legge dovrà passare ora la scure del Consiglio europeo, in cui polarizzare eccessivamente le opinioni dei leader di destra e sinistra può portare alla paralisi.

Manfred Weber, esponente della Csu tedesca e capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, invita all'unità: "abbiamo perso per una manciata di voti", ha sottolineato, aggiungendo che di fronte a una questione così politicizzata "non mi sembra positiva la gestione della Commissione. Se vogliamo conquistare i cittadini con il Green Deal, dobbiamo agire assieme. Possiamo avere successo con il Green Deal solo con l'unità. Oggi non è successo".

Un organo collegiale come la Commissione è un po' come la monarchia: non può reggersi col 51% o una maggioranza semplice in Parlamento. Necessita di pesi e contrappesi. Deve avere un'agenda inclusiva e capace di rispettare le diversità dell'Europa e dei Paesi membri. L'esatto opposto di quanto avviene ora. Il Ppe, forza di maggioranza relativa, si è alleato a lungo con le sinistre per rispecchiare gli equilibri di potere dell'epoca dopo il 2019. Nell'ultimo biennio la convergenza su singoli temi delle destre popolari, conservatrici e sovraniste non rappresenta la creazione di una maggioranza alternativa, ma sicuramente l'emersione di una forte discontinuità con la maggioranza Ursula che von der Leyen e i suoi, accentrando su Palazzo Berlaymont il processo decisionale, non hanno fatto nulla per disincentivare.

Il voto dimostra che l'Europa è contendibile. E se si dovesse andare al voto oggi, le destre avrebbero 337 seggi: 172 il Ppe, 82 Ecr, 83 Id. A un passo dalla maggioranza assoluta di 353 seggi e ampiamente sopra le sinistre, ferme complessivamente a 240 voti.

Un monito per il futuro che il campo progressista che oggi spreme al massimo ciò che resta del "campo Ursula" dovrebbe tenere bene in mente.

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