Politica internazionale

Il dossier cinese e la missione di Giorgetti: il piano per rimediare l’errore grillino

Meno di un anno alla scadenza del Memorandum Italia-Cina. L'esecutivo non tifa rinnovo, ma teme le strumentalizzazioni in Ue. Giorgetti a Washington riceve rimediare alle mosse grilline

Il dossier cinese e la missione di Giorgetti: il piano per rimediare l’errore grillino

Giancarlo Giorgetti, Ministro dell'Economia e delle Finanze del governo Meloni, ha incontrato Gina Raimondo, segretario al Commercio dell'Amministrazione di Joe Biden a Washington e aperto a una collaborazione sul piano economico tra Europa e Stati Uniti per alcune produzioni strategiche anche per una questione di sicurezza nazionale. Chip, Difesa, hi-tech, transizione energetica: molti i dossier in campo. Ma sullo sfondo si staglia un convitato di pietra: come coniugare questa prospettiva con la sfida del Memorandum Italia-Cina sulla Nuova via della seta del 2019 fortemente avversato dagli Usa, in rotta con Pechino su ogni fronte?

Il governo di Giorgia Meloni è chiamato in tempi stretti a decidere sul rinnovo del Memorandum per l'adesione dell'Italia alla Nuova Via della Seta a trazione cinese siglato in pompa magna da Giuseppe Conte e Xi Jinping nel marzo 2019. Manca meno di un anno alla scadenza dell'accordo e l'esecutivo di centrodestra non ha ancora preso una posizione definitiva.

Giorgetti a Washington: il Mef non tifa per il rinnovo

A meno di un anno dalla scelta l'esecutivo dibatte sulla priorità da dare al rapporto con la Cina e al senso da dare al Memorandum. Iniziativa segnaletica, abbandonabile per apparire leali agli Usa, o accordo che deve ancora sviluppare tutta la sua potenzialità? Washington non ha dubbi: l'Italia, unico Paese del G7 ad aver aderito alla Belt and Road Initiative, deve ritirarvisi. Questo è anche ciò che è stato di fatto comunicato a Giorgetti dalle autorità Usa. Il Ministro si trova a Washington per partecipare alle riunioni primaverili del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale. L'omologa Usa Janet Yellen sottolineerà oggi a Giorgetti la necessità di una nuova, solida alleanza commerciale ed economica Italia-Usa per contrastare la Cina.

Il ministro leghista era sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Conte I a trazione M5S-Lega che firmò il Memorandum. Al contrario del sottosegretario allo Sviluppo Economico Michele Geraci, vicino al Carroccio, che negoziò l'accordo con Pechino, Giorgetti non ha mai creduto nel destino di sviluppo condiviso propagandato da Pechino come effetto della sintonia italo-cinese. Ha fermato le mire cinesi sul porto di Trieste, ha bloccato da ministro dello Sviluppo Economico del governo Draghi la scalata cinese a Iveco, asset strategico per i suoi affari nella Difesa, e spinto l'ex premier a un uso strategico del golden power per fermare il passaggio in mani cinesi del player dei microchip Lpe.

Via della Seta, un accordo sotto le aspettative

Via XX Settembre non "tifa" certamente Cina. Ma pesano sulla posizione del Paese più spinte. Da un lato la vicinanza del governo agli Stati Uniti e l'emersione della conflittualità sino-americana sta mettendo molti Paesi occidentali di fronte alla necessità di rivedere i rapporti con Pechino. Dall'altro, l'Europa cerca, dopo l'indebolimento dei legami con la Russia, un modus vivendi con la Cina e la recente visita di Emmanuel Macron nell'Impero di Mezzo mostra che la Francia è, con la Germania, capofila di questo processo.

Dunque, rompere il memorandum avrebbe l'effetto di aprire a un avvicinamento ulteriore di Roma agli Stati Uniti, con dividendi strategici dubbi se non la primazia della scelta di campo occidentalista, ma con effetti certi in Europa: la retrocessione dell'Italia agli occhi della prima potenza industriale e commerciale globale. Questo creerebbe il paradosso dei paradossi: rompere il Memorandum creerebbe danni economici e politici all'Italia dopo anni in cui gli accordi con Pechino non hanno sostanzialmente influito in forma profonda sui rapporti italo-cinesi.

Secondo dell’Italian Trade Agency, nota LaVoce.info, "la quota di mercato dell’Italia in Cina è rimasta costante (e relativamente bassa) intorno all’1,1 per cento dal 2020, scendendo allo 0,99 per cento nel 2022. Il valore totale dell’interscambio bilaterale (in dollari) è cresciuto da 55 miliardi di dollari nel 2020 a quasi 78 miliardi di dollari nel 2022, ma con uno squilibrio commerciale a favore di Pechino, le cui esportazioni verso l’Italia sono aumentate di circa 18 miliardi di dollari, mentre le esportazioni italiane verso la Cina sono cresciute di soli 4 miliardi di dollari nel periodo 2020-2022".

Il problema originario del Memorandum

A questi dati si aggiunge il fatto che nessuno, nel governo, ritiene Pechino un alleato strategico. Il nodo è squisitamente politico-diplomatico ed è legato al pasticcio originario di Giuseppe Conte nel 2019: firmare l'accordo senza precise garanzie sui mutui vantaggi della sua applicazione. Pochi giorni dopo la firma del Memorandum, avvenuta il 23 marzo 2019, Xi Jinping visitò Parigi incontrando Macron, Angela Merkel e il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker: firmò accordi di cooperazione economica con Francia e Germania che non implicavano l'ingresso di Parigi e Berlino nella Bri ma promossero una crescita di investimenti, commerci e opportunità industriale per le aziende dell'asse renano. Senza pericolosi scivoloni politici.

Chiara la posizione di Giorgetti, che non avrebbe problemi a mandare a scadenza l'accordo, la palla passa a Palazzo Chigi e a Giorgia Meloni, che dovrà accuratamente bilanciare il posizionamento dell'Italia nei confronti della Cina. Come marcare la distanza da Pechino senza identificare la Cina come un esplicito nemico, cosa che non è nell'interesse italiano? Come smarcarsi da un accordo che è stato per ora non dannoso, ma nemmeno utile, sul fronte economico e può rappresentare un boomerang diplomatico? La preferenza Usa è chiara. I vincoli legati alla possibile strumentalizzazione del distanziamento italiano dalla Cina in campo europeo pure. Il sentiero è stretto, ma presto bisognerà prendere decisioni che non saranno neutrali.

E posizioneranno l'Italia nella gerarchia delle preferenze a Washington, Bruxelles e Pechino.

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