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La lotta contro il terrorismo islamico congelata dalle guerre interne del Pd

Il nuovo decreto legge con misure anti jihadismo più dure è fermo da tre settimane. Perché nella sinistra c'è chi teme di perdere potere

La lotta contro il terrorismo islamico congelata dalle guerre interne del Pd

É una guerra sorda, ma serrata. Una guerra che spacca trasversalmente istituzioni, governo e Partito Democratico rendendoli incapaci di rispondere alle drammatiche urgenze della lotta al terrorismo. Da una parte ci sono il sottosegretario Marco Minniti e tutti coloro convinti della necessità di conferire ai servizi segreti nuove e più autentiche competenze nel campo della lotta al terrorismo dispensando funzioni e immunità analoghe a quelle di Stati Uniti e Regno Unito. In mezzo c'è chi propone un coordinamento tra magistrati e «servizi» articolato attraverso una «super procura» modellata sull'esempio della Central Authority del Regno Unito delegata a mantenere i rapporti con le altre forze di sicurezza all'interno dell'Unione Europea. In fondo - a far da catenaccio - le forze del Pd e del governo più vicine a quella magistratura convinta di dover difendere a tutti i costi il monopolio dell'azione penale. Anche quando questo monopolio finisce con il conferire la lotta al terrorismo a magistrati inadeguati, inesperti e restii non solo a coordinarsi con l'intelligence, ma persino con altre procure impegnate su casi analoghi.

La lotta tra questi tre schieramenti, le esigenze del ministro della Giustizia Andrea Orlando di mantenere un piede nella partita, i tentativi del ministro Angelino Alfano di utilizzare il decreto come uno strumento personale per conquistare autorevolezza politica sono i grande ostacoli che bloccano da ormai tre settimane il nuovo decreto legge sul terrorismo. Ma quelle beghe e divisioni sono anche il segno di come il vecchio Partito Democratico, dilaniato da antiquate incrostature giustizialiste, si dimostri sempre di più inadeguato a governare il paese. E a gestirne le emergenze. Il primo a saperlo è Marco Minniti. Fedele al suo ruolo di «sinistra» eminenza grigia dell'intelligence e di esperto delle dinamiche americane ed anglosassoni cerca di compiere il grande balzo in avanti togliendo i servizi da quella zona d'ombra in cui sono stati relegati prima da Piazza Fontana e poi dalla guerra della Procura di Milano all'ex Direttore del Sismi Nicolò Pollari.

Il jolly calato da Minniti per chiudere la partita era l'inserimento nel decreto legge di autentiche immunità funzionali per gli 007 impegnati nella lotta al terrorismo. «Immunità che consentissero agli agenti non di rapire un sospetto e torturarlo, ma perlomeno - spiega una fonte de Il Giornale al corrente delle proposte - di entrargli in casa o nell'automobile qualora si sospetti la possibilità di un attentato». La proposta che più fa gridare allo scandalo la vecchia guardia del Pd e i cosiddetti magistrati «democratici» è però la richiesta di aprire le porte delle carceri ai nostri 007 permettendo loro d'interrogare i terroristi detenuti. Proprio quella richiesta ha innescato, stando a fonti de Il Giornale lo scontro al calor bianco che ha reso inevitabile il rinvio del decreto. Uno scontro in cui si sono inserite le paure di Andrea Orlando preoccupato di ritrovarsi a far i conti con la magistratura proprio all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Anche gli articoli del decreto antiterrorismo in cui si prefigurava la nascita di una «super procura» antiterrorismo ospitata inizialmente all'interno della Direzione Nazionale Antimafia si stanno rivelando uno scoglio non facile. La nuova struttura è vista da alcuni, non da ultimo il deputato ed ex magistrato Stefano Dambruoso, autore del disegno di legge sull'argomento, come la possibile camera di compensazione in cui coordinare le attività dei servizi e dei giudici. Ma quella «superprocura» capace di coordinarsi con l'intelligence, comprenderne le esigenze e pronta magari ad autorizzarne preventivamente le operazioni più «spinte» è vissuta da molti magistrati come un'inconcepibile minaccia alla propria autonomia. D'altra parte anche l'idea di dover coordinare le proprie operazioni con dei magistrati seppur selezionati e competenti preoccupa non poco i vertici della nostra intelligence poco disposta a ripetere le «vie crucis» del passato.

E questo spiega perché Marco Minniti appaia assai poco disponibile a favorirne l'avvento.

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