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"In Albania centri come a Pozzallo"

Piantedosi spiega il patto con Tirana: "Saranno più rapide le procedure di identificazione"

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Dissuadere e non deportare. È la parola d'ordine dell'intesa con Tirana che vedrà l'apertura nelle località albanesi di Shengjin e Gjader di due centri d'accoglienza per i migranti adibiti uno alle procedure d'identificazione e l'altro al rimpatrio degli irregolari senza diritto all'asilo. La tipologia dei due centri e la lontananza da un'Italia diventata nell'immaginario dei migranti la porta dell'Europa contribuirà - nei piani del governo - a scoraggiare le partenze.

A questo effetto fa riferimento il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi quando spiega che l'intesa con Tirana punta alla realizzazione di «strutture analoghe a quella realizzate a Pozzallo- Modica, dove si trattengono le persone il tempo necessario per svolgere in maniera accelerata le procedure di identificazione e di gestione della domanda di asilo».

Per comprendere l'effetto deterrente di queste politiche basta riflettere sulla rapidità con cui il passa-parola ha contribuito in passato ad ingrossare i flussi migratori. Fino al 2013 gli sbarchi annui non superavano quota 60mila. L'avvio, a fine di quell'anno, della missione «Mare Nostrum» produce l'impennata che nel 2014 spinge gli arrivi a quota 170mila.

E un'ulteriore spinta si registra nel 2016 quando la discesa in campo delle Ong porta gli sbarchi oltre quota 180mila. Per comprendere la potenzialità dissuasiva dell'intesa firmato da Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama bisogna pensare all'effetto opposto. Ovvero immaginare quel che succederà quando il primo carico di migranti recuperato dalla Guardia Costiera italiana approderà non a Lampedusa, ma nel porto di Shengjin. O peggio, quando i migranti privi del diritto all'asilo si ritroveranno ad attendere il rimpatrio in quel di Gjader. Per tutti costoro la situazione sarà molto diversa da quella di chi mette piede sul territorio italiano.

Un'eventuale fuga dal centro di identificazione o di rimpatrio non li porterà alle porte della Francia, della Svizzera o dell'Austria, ma ai cancelli di quella rotta balcanica considerata la «via crucis» dei migranti. Considerata la velocità con cui le comunicazioni aggiornano le famiglie d'origine, spesso finanziatrici del viaggio, c'è da scommettere che in poche settimane l'orizzonte Albania diventerà l'incubo dei candidati alla partenza. E li indurrà a riflettere sulla convenienza d'investire migliaia di euro e affrontare un rischioso viaggio in mare per raggiungere una destinazione indesiderata, e decentrata rispetto alle città europee sognate dai migranti. La politica della deterrenza continuerà però fare i conti con la concorrenza delle navi delle Ong. Per evitare imposizioni contrarie al diritto marittimo il governo ha già deciso di traghettare sulle coste albanesi solo chi verrà raccolto dalla Guardia Costiera. Alle navi delle Ong verrà dunque lasciata facoltà di procedere verso i porti italiani. Questo riproporrà la competizione tra la Guardia Costiera e le navi delle Ong e produrrà un'apparente difformità di trattamento tra i migranti recuperati dalle prime e dalle seconde.

La presenza in Albania di commissioni incaricate di vagliare lo status dei migranti non pregiudicherà però il diritto all'asilo.

Mentre i termini dei tempi necessari al rimpatrio e i limiti alla capienza delle strutture albanesi, che non potranno superare il totale di 39mila migranti annui, garantiranno l'arrivo in Italia di chi non è stato rimandato a casa.

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