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Bce, agenzie e miliardi: guerra di poltrone all'Ue

Inizia la partita delle nomine e l'Italia punta al commercio. Ma sarà tagliata fuori dai negoziati

Bce, agenzie e miliardi: guerra di poltrone all'Ue

«Così l'Italia ha perso le elezioni europee». Il titolo di uno dei commenti pubblicati ieri sul sito Politico.eu, uno dei più letti a Bruxelles, suona provocatorio. Il rischio, però, è reale: il nuovo equilibrio emerso dal voto di domenica potrebbe tradursi per il nostro Paese in una perdita secca di influenza e di soldi.

Nei prossimi mesi l'Unione è destinata a cambiare volto e per la prima volta il governo italiano sarà all'opposizione rispetto alle forze destinate a esprimere l'esecutivo (popolari, socialisti, liberali e verdi). Peggio ancora: la sfida sul bilancio lanciata dal vice-premier Salvini rischia di allargare in maniera irreparabile il fossato che ci divide da chi comanda in Europa. La prima questione riguarda, come ovvio, le poltrone di vertice di cui si inizia a discutere in queste ore. A cavallo dell'estate saranno scelti presidente della Commissione, del Consiglio Europeo, del Parlamento, Rappresentante per la politica estera e nuovo numero uno della Bce. Dei tre incarichi che occupiamo oggi (Draghi, Tajani, Mogherini) non ne rimarrà nessuno.

L'Italia è tagliata fuori non solo dalle candidature ma anche dai negoziati: né il neofita premier Conte, né l'impalpabile ministro degli Esteri Moavero Milanesi sembrano in grado di toccare palla. Quanto al Ministro degli Affari Europei, dopo le dimissioni, ormai mesi fa, di Paolo Savona, nessuno ha più pensato di nominarne uno.

Le cose non andranno molto meglio per quanto riguarda la nomina del componente italiano della Commissione. Pare che il premier-ombra Salvini punti a un incarico di peso, commercio o concorrenza. Ma trovare la quadra su un Commissario accettabile dai giallo-verdi e allo stesso tempo riconosciuto a livello continentale sarà impresa difficile. I nomi più gettonati come potenziali candidati sono da settimane gli stessi: il già citato Moavero Milanesi, il Ministro Tria, il sottosegretario Giorgetti e il presidente della Regione Veneto Zaia. Chiunque sia il prescelto dovrà però prepararsi a un passaggio pericoloso: l'audizione del Parlamento prevista per settembre o ottobre.

L'Italia è l'unico tra i grandi Paesi a essersi già visto bocciare un Commissario in pectore: era il 2004 e a ricevere il semaforo rosso fu Rocco Buttiglione, impallinato perchè aveva definito l'omosessualità «un peccato». Dopo di lui il «no» è toccato a tre donne (una lettone, una bulgara e una slovena) respinte perchè considerate impreparate o sospettate di comportamenti impropri. Le previsioni dicono che il nuovo Parlamento, legittimato dalla più alta affluenza al voto degli ultimi 25 anni e con una maggioranza poco tenera nei confronti dei sovranisti, potrebbe riservare un trattamento particolarmente severo nei confronti di un candidato percepito come «populista».

Le trattative su posti e influenza saranno importanti anche perchè avranno subito conseguenze sui soldi; e anche in questo caso ci si avvicina a un passaggio importante: a partire dall'autunno Parlamento e Consiglio europeo dovranno varare il nuovo «Quadro finanziario pluriennale», il documento che regolerà la spesa dell'Unione nel periodo tra il 2021 e il 2027.

Nel 2018 sui 145 miliardi gestiti da Bruxelles (la cifra equivale al 2% della spesa pubblica totale dei 28 Paesi membri) il 42% del totale è andato alla politica agricola e il 35% ai fondi di coesione. In base alla proposta della Commissione il flusso di questi ultimi dovrebbe cambiare significativamente a nostro vantaggio. Secondo un recente paper dell'Ispi i finanziamenti per le zone disagiate assegnati all'Italia crescerebbero del 6,5%, una percentuale equivalente a poco meno di tre miliardi. La stessa voce si ridurrebbe in maniera rilevante per Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca (tra il 20 e il 25%). La novità non farebbe che rispecchiare il recente sviluppo dei Paesi dell'Est europeo, ma rischia di aprire un nuovo fronte (che si aggiunge a quello dei migranti) tra i sovranisti italiani e i Paesi del gruppo di Visegrad.

A nostro favore andrebbe anche l'aumento chiesto dalla Commissione per le spese di «gestione dei confini e dell'immigrazione». L'ammontare di questa voce quasi triplicherebbe, passando dai 13 miliardi dell'ultimo piano pluriennale ai 35 miliardi messi in bilancio per il periodo 2021-2027. L'Italia, che sul tema è come ovvio in prima linea per motivi geografici, si aggiudicherebbe una fetta interessante dell'aumento.

Sempre che Salvini e Di Maio non si facciano troppi nemici.

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