Politica estera

Da colomba a falco. Così Macron vuole farsi leader

Il presidente francese mostra i muscoli con Mosca e lancia un messaggio all'Europa. Rischiando, però, di dividerla

Da colomba a falco. Così Macron vuole farsi leader

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Fino a pochi anni fa i politici del Vecchio Continente si muovevano rassicurati da alcune solide certezze: nell'Unione Europea a comandare l'economia erano i tedeschi, che invece si disinteressavano delle politiche di difesa, tema in cui la primogenitura spettava ai francesi. Su tutti vegliava la Nato, che, secondo un vecchio moto, serviva «to keep the Soviet Union out, the Americans in, and the Germans down». In pratica doveva mantenere lontani i russi, legare gli americani all'Europa e assicurare che i tedeschi tenessero la cresta bassa.

Adesso, però, è cambiato tutto. I tedeschi sono occupati a leccarsi le ferite: hanno visto andare in crisi un modello economico vincente basato sull'import di energia dalla Russia e sull'export di prodotti verso la Cina. In più hanno sostituito una Cancelliera che si era guadagnata i galloni di leader, Angela Merkel, con un burocrate di partito che nessuno, per il momento sembra apprezzare più di tanto, Olaf Scholz. Se si parla di politiche strategiche e di difesa la svolta è stata ancora più radicale: i russi fanno la faccia feroce e vogliono riprendersi quello che (a torto) considerano loro; gli americani di Donald Trump (a cui in qualche modo Biden ha dovuto adeguarsi) hanno fatto sapere che sono stanchi di occuparsi dell'Europa e che non vogliono più essere un riferimento per nessuno.

Lontani gli americani, assenti i tedeschi, nel vuoto che si è aperto, perfino Ursula von der Leyen ha acquisito un ruolo da protagonista e sono in molti a invocare il ritorno sulle scene di Mario Draghi, venerato come potenziale deus ex machina, in grado di garantire una leadership che in questo momento manca.

Tra i capi di Stato attualmente in carica uno solo sente di ambire al ruolo di guida di tutto il continente: Emmanuel Macron. Il senso di sè non gli manca (all'inizio del suo primo mandato dichiarò di volere una presidenza «jupitérienne», l'aggettivo che deriva da Giove, dio dell'Olimpo). Non gli manca nemmeno l'atteggiamento provocatorio (che anzi in più di un'occasione ha mostrato di prediligere), un po' da «rottamatore» della scena europea.

Nell'estate del 2022, a invasione Ucraina già avvenuta, dichiarò che non bisognava umiliare i russi e che si doveva pensare a un sistema europeo di difesa in cui c'era spazio anche per Mosca. Il trascorrere del tempo gli ha fatto cambiare idea. Ora si è convinto che Putin è una minaccia esistenziale per i valori di democrazia e libertà impersonati dall'Europa e che per tenerlo a distanza bisogna usare il linguaggio della forza. Il suo vocabolario si è adeguato alle idee. «Per l'Europa è il momento in cui non ci si può mostrare vigliacchi», ha detto all'inizio di marzo, accompagnando la frase con i ripetuti riferimenti alla possibilità di inviare truppe sul suolo ucraino.

Per i titubanti tedeschi è stato una specie di choc, che ha reso più difficili i rapporti con Scholz e che ha finito per mettere alla luce le divisioni tra gli alleati di Kiev. A qualcuno sono venute in mente le parole che Angela Merkel disse al presidente francese nel 2019, dopo che quest'ultimo, con scarso senso del linguaggio diplomatico, aveva dichiarato che la Nato aveva l'encefalogramma piatto: «Capisco il suo desiderio di cambiamento e discontinuità.

Ma io sono stanca di raccogliere i cocci delle tazze che lei rompe».

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