Politica

Dello sciopero generale ce ne infischiamo

Lo sciopero è un mezzo estremo per dirimere un contenzioso con un'azienda. Abusarne è una follia che produce più danni che vantaggi agli stessi lavoratori

Dello sciopero generale ce ne infischiamo

Trascuriamo le questioni ideologiche e quelle di opportunità. Ci chiediamo soltanto che senso abbia, sempre, a prescindere dal colore del governo in carica, minacciare e organizzare scioperi generali. In particolare in un momento come l'attuale, drammatico sotto il profilo economico e dell'occupazione, costantemente in calo. Può essere - e lo speriamo - che la Fiom rinunci alla fermata e che la Cgil faccia altrettanto. Ma il problema rimane, insoluto da oltre mezzo secolo. È lecito, talvolta addirittura indispensabile, astenersi dal lavoro in caso di vertenze che non sfocino in un accordo tra imprenditore e dipendenti. D'altronde, i sindacati non hanno altre armi efficaci per far valere le proprie ragioni.

Diciamo che lo sciopero è un mezzo estremo per dirimere un contenzioso con un'azienda. Abusarne però è una follia che produce più danni che vantaggi agli stessi lavoratori, perché ciò crea un clima di tensione e di sfiducia reciproca tra le parti in causa. Su questi concetti crediamo ci sia poco da discutere.

I lettori ricorderanno Aquila selvaggia. Che cos'era? Uno stato di agitazione perenne all'Alitalia, il cui personale (organici pletorici) avanzava in continuazione rivendicazioni di vario tipo e, per ottenere quanto pretendeva, all'improvviso incrociava le braccia, come si diceva allora.

Incrociale oggi e incrociale domani, la compagnia di bandiera è andata in malora e non si è più risollevata completamente. È un esempio, e di analoghi se ne potrebbero citare mille. Quando poi all'incoscienza dei sindacati si aggiunge l'insipienza di amministratori (specialmente pubblici), il disastro è garantito.

Aquila selvaggia è morta suicida e nessuno la piange. Ma l'esperienza evidentemente non insegna nulla, altrimenti non saremmo ancora qui a parlare di scioperi, segnatamente generali, i più assurdi della gamma. Con i quali i sindacati non si pongono l'obiettivo di portare a casa qualcosa, bensì di impedire al governo di svolgere la propria legittima attività. Trattasi di obiettivo politico da cogliere con la complicità della piazza rumoreggiante, se non incline alla violenza.

La sinistra, il vecchio Pci e i suoi accoliti, erano specialisti in materia. Se non bastavano le battaglie parlamentari a piegare le ginocchia agli avversari, i progressisti d'antan proclamavano uno sciopero generale al quale aderiva la maggioranza dei lavoratori, ubbidienti ai capoccia per puro spirito conformistico, e il gioco era fatto. Gli esecutivi a matrice prevalentemente democristiana, e in seguito quelli berlusconiani, per non avere grane più grosse si adattavano a negoziare e di norma calavano le brache, timorosi di sommosse e perfino di rivoluzioni. In questo modo rafforzando l'idea che la sinistra, tramite il sindacato (il suo braccio armato), fosse in grado di condizionare ogni governo e di costringerlo a mutare indirizzo.

La politica di fatto era rassegnata e abdicava al proprio primato su tutto il resto. Fu così che nacque la cosiddetta concertazione, ossia l'abitudine, divenuta prassi, di invitare al tavolo delle decisioni governative le cosiddette parti sociali: sindacati, Confindustria, rappresentanti di categorie. In pratica, il Parlamento è stato esautorato, come se la volontà dei cittadini non si esprimesse col voto democratico, ma attraverso la Cgil e similari. Uno schiaffo alla democrazia. Si è affermata la mentalità che la piazza vale di più di Palazzo Chigi, di Palazzo Madama e di Montecitorio. Un obbrobrio che Matteo Renzi ha definito giustamente indigeribile, rivendicando il diritto, quale capo dell'esecutivo, di proporre e realizzare progetti con l'approvazione delle uniche istituzioni deputate a dire sì o no a una legge: Senato e Camera.

Il premier, quando dichiara di non essere intenzionato a trattare con la signora Camusso il da farsi, non sbaglia assolutamente. Un Paese democratico ha i propri organi decisionali, tra i quali non c'è la Cgil, e se questa si illude viga ancora il pregiudizio in base al quale non si muove foglia che il sindacato non voglia, cade in errore. Indìce lo sciopero generale? Non importa. Renzi ha l'obbligo di dimostrare platealmente che un esecutivo rispettabile va per la sua strada e non si lascia intimidire da una leader legata a riti primitivi e veterocomunisti.

Scioperano 5 milioni di italiani? Altri 55 milioni non aderiscono e vincono il confronto. A ciascuno il proprio ruolo. I sindacati si interessino delle paghe, piuttosto.

E Renzi governi senza ignorare che il suo operato sarà giudicato dagli elettori e non dalla Camera del lavoro.

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