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D-Day: 75 anni dopo

Domani l'incontro fra Trump, Macron e May in Normandia. Lì dove nacquero i moderni assetti mondiali. Che oggi sono tornati in discussione

D-Day: 75 anni dopo

Americani e inglesi la chiamavano «relazione speciale». A tenerla a battesimo ci pensò Winston Churchill in un discorso pronunciato due anni dopo lo sbarco in Normandia. Quella relazione nacque e si forgiò nel mattatoio di Omaha Beach, tra le scogliere e i sassi dell'angusta spiaggetta e degli altri quattro bagnasciuga dove, il 6 giugno 1944, le mitragliatrici tedesche falciarono 4.400 soldati alleati in meno di 24 ore. Dal 1956 sopra quella spiaggia intrisa di sangue, valore e memorie s'allunga un'infinita distesa di croci bianche. A quelle 9.387 croci immacolate se n'è ora aggiunta una nuova. Invisibile e virtuale, ma non meno significativa. Ricorda la fine della «relazione speciale». Segna la fine di un'amicizia germogliata nel sangue e nel comune sacrificio, ma naufragata nell'incomprensione. Theresa May, Donald Trump e la Regina Elisabetta oggi fingeranno d'ignorarlo. La cerimonia di Portsmouth, con cui si rievocherà la partenza delle 6.939 navi e dei 132.700 uomini sbarcati sulle spiagge della Normandia, sancirà il culmine dell'ipocrisia che circonda il crollo di uno dei cardini dell'Allenza Atlantica.

Un'ipocrisia destinata a ripetersi, seppur con minor enfasi, domani quando Donald Trump e Emmanuel Macron, si riabbracceranno nel cimitero americano di Colleville-sur-Mer, simulando un'inesistente reciproca cordialità. In verità da Portsmouth a Omaha Beach, da Bruxelles a Berlino, non c'è più posto né per amicizia, né per interessi comuni. L'America di Trump che promette all'Inghilterra «un meraviglioso accordo commerciale» dopo l'addio a Bruxelles non sa più che farsene dell'Europa strappata, 75 anni fa, alla dominazione nazista. Non vede in Londra un ponte con l'Europa, ma piuttosto un argine all'Europa. Un argine da recuperare solo dopo il definitivo distacco da quel Vecchio Continente in cui Trump non ripone la minima fiducia. Per lui non è né una potenza con cui concordare un nuovo «ordine mondiale», né tanto meno un alleato indispensabile per contrapporsi a Cina e Russia. Anzi sul piano militare la considera praticamente inutile vista la neghittosa spilorceria con cui molte sue capitali, Berlino e Roma in testa, rifiutano di allineare le spese militari al minimo del due per cento previsto dalla Nato. Per non parlare delle politiche economiche ispirate all'austerità tedesca o dell'ipotesi che un Emmanuelle Macron, affondato dai sondaggi e battuto in casa da Marine Le Pen, possa ribaltarle trasformandosi nel riformatore dell'Unione Europea.

Ma chi punta il dito su Donald Trump, chi crede, o pretende, di vedere in lui il sicario della «relazione speciale» con Londra e il killer dei rapporti con Bruxelles sbaglia di grosso. A seppellire quei due simboli del dopoguerra ci ha pensato, in verità, quel Barack Obama ancora tanto amato a Londra, Parigi e Bruxelles. È stato lui alla fine del proprio mandato a voltare le spalle all'Inghilterra di Theresa May e della Brexit spiegando che il suo «partner internazionale più vicino» era la Germania di Angela Merkel e aggiungendo che - in caso di addio all'Europa - la Gran Bretagna si sarebbe ritrovata «in fondo alla fila» dei paesi chiamati a far affari con gli Usa. Insomma all'avvento di Donald Trump tutto era già successo. A dare un calcio agli alleati del D Day e a condannare a morte l'Europa c'aveva già pensato l'ultimo presidente democratico. Scegliendosi come alleato la Germania aveva di fatto concesso mano libera ad una Merkel rivelatasi la principale responsabile della disintegrazione dell'Unione. Un'Unione affossata dalle politiche economiche improntate al rigoroso controllo dei bilanci e divisa dall'utopia dell'accoglienza predicata dalla Cancelliera. Insomma 75 anni dopo le alleanze e le conquiste del D Day non sono più da celebrare, ma da ricostruire.

Altrimenti di quel giorno sopravvivranno solo le bianchissime croci.

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