Politica

E anche con Mattarella il rapporto è ormai logoro

Da Bankitalia a Consob: al Colle non sono piaciuti i continui strappi istituzionali

E anche con Mattarella il rapporto è ormai logoro

Roma Gli ultimi giorni di montagne russe sulle banche non hanno aiutato a rasserenare un rapporto che ormai da mesi si sta facendo sempre più complicato. Tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella, infatti, c'è ormai una cordiale e reciproca diffidenza. Quella del leader del Pd, dovuta alla convinzione che il presidente della Repubblica abbia deciso di fare quanto in suo potere per mettergli i bastoni tra le ruote, quella del capo dello Stato motivata dai troppi strappi istituzionali del segretario dem. Aver fatto esplodere lo scontro tra la politica e la Banca d'Italia e tra la stessa Bankitalia e la Consob è stato agli occhi di Mattarella un atto di assoluta spregiudicatezza e irresponsabilità. Che sempre più ha convinto l'inquilino del Quirinale di una certa inadeguatezza di Renzi a ricoprire incarichi chiave.

Non è un caso che nelle ultime settimane dal Colle sia filtrata l'intenzione di «appoggiarsi» a Paolo Gentiloni nel caso il risultato delle elezioni non consentisse di formare a breve un nuovo governo. E infatti quando a breve si scioglieranno le Camere l'attuale presidente del Consiglio non dovrebbe dimettersi da premier (cosa che è già accaduta in diverse occasioni), così da rimanere nella pienezza dei poteri e non solo per svolgere gli affari correnti. Una sorta di paracadute nel caso il voto portasse ad una paralisi del Parlamento.

Uno scenario, questo, che avrebbe fatto infuriare un Renzi che ormai vede nemici dappertutto e che vive come se fosse sotto assedio. D'altra parte, per il leader del Pd sono giornate difficili, con Mara Elena Boschi finita al centro del ciclone Banca Etruria proprio a causa di quella Commissione fortemente voluta da Renzi.

Che ieri si è beccato anche gli strali di Massimo D'Alema. Dalla vicenda di Banca Etruria, ha detto alla trasmissione Circo Massimo, «emerge il peso un gruppo di potere e anche una certa spregiudicatezza nell'uso del potere». E ancora: «Si tratta di un caso assolutamente classico di conflitto di interessi. La pressione è in se stessa, poi naturalmente non ho dubbi che l'onorevole Boschi l'abbia fatto con estrema cortesia, non avrà minacciato nessuno. Il problema è che lei, proprio per la sua posizione personale, di familiarità con uno dei principali amministratori di questa banca, avrebbe dovuto astenersi. La cosa è talmente evidente che è inutile infierire. Colpisce l'arroganza con cui si dice la Boschi resta lì, sarà candidata, e questo rivela, come anche l'intervento del dottor Carrai, che probabilmente si tratta di qualcosa di più di un fatto personale, si tratta di un gruppo di potere e il capo non è Maria Elena Boschi, è Matteo Renzi».

Parole dure, che arrivano da un nemico giurato del segretario del Pd, ma che fanno breccia perché sono le stesse cose che in privato e a microfoni spenti dicono ormai quasi tutti i deputati dem. Su una cosa, però, D'Alema e Renzi sembrano pensarla allo stesso modo: l'ipotesi di dimissioni della Boschi. Per D'Alema, infatti, «ormai siamo in campagna elettorale» e «a questo punto giudicheranno gli elettori».

D'altra parte, il leader Maximo è ben contento che il Pd continui a tenersi fino al voto la «zavorra» Boschi.

Commenti