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Agenzia delle Entrate, la grande fuga

Renzi rischia di dover gestire un bel pasticcio: i conti non tornano e per il premier sono guai

Agenzia delle Entrate, la grande fuga

Matteo Renzi rischia di dover gestire un bel pasticcio con l'Agenzia delle Entrate. Se fosse per lui, e per molti di noi, l'agenzia dovrebbe fare un passo indietro e ritornare nei suoi ranghi. Fino al suo arrivo a Palazzo Chigi e a quello del team guidato da Nannicini (gente che guarda al diritto tributario non con la logica di Torquemada), le norme fiscali venivano di fatto scritte dall'agenzia. Come più volte dichiarato anche dall'attuale sottosegretario Zanetti. Oggi Palazzo Chigi dice la sua, anche se la prossima uscita proprio di Nannicini (ha vinto una cospicua borsa per una ricerca internazionale accademicamente irrinunciabile) sta già rispostando il pendolo delle influenze da Palazzo Chigi agli uffici dell'economia. E ciò non è un bene per i contribuenti. Ma torniamo al pasticcio. Esso riguarda i soldi, quelli che fanno quadrare i conti, e dei quali ogni governo è avido.

La coppia Befera-Magistro imposta a metà del 2000 una nuova strategia di attacco all'evasione e alle pratiche elusive dei grandi contribuenti che nel 2009 porta al primo grande balzo degli accertamenti. Si tratta delle posizioni fiscali che portano gettito. E con le quali l'atteggiamento deve essere diverso rispetto alla partita Iva da poche migliaia di euro. Più del 40 per cento delle somme accertate arriva da questa struttura messa a suo tempo in piedi da Magistro. E così arriviamo ai giorni nostri. Si tratta di una squadra di giovani, motivatissimi, e la cui cultura non è quella di perseguire a casaccio, ma colpire in modo chirurgico. La filosofia è quella di generare gettito in modo stabile accompagnando i grandi contribuenti ad una sorta di patto perpetuo con il fisco. Conoscono le imprese e le grandi multinazionali, parlano il loro linguaggio e non hanno un atteggiamento punitivo, a prescindere. In una parola sola non sono ideologici. Con l'uscita di Befera e soprattutto di Magistro, le cose precipitano. Il primo a filare (ha un incarico molto importante all'Ocse) è il braccio destro proprio di Magistro e cioè Valerio Barbantini. Dopo pochi mesi arriva la sentenza della Consulta che fa secchi 800 dirigenti dell'agenzia per irregolarità nelle loro nomine. A parte il fatto che sarebbe stato interessante e utile anticiparla invece che subirla, la sentenza dà il colpo finale alla struttura dei grandi contribuenti. Dario Sencar, quarantenne, che di fatto aveva preso il posto di Barbantini perde la sua qualifica dirigenziale: passa da uno stipendio mensile metto di 3,5mila euro a circa 1,5mila. Poche settimane fa il ragazzo, e come dargli torto, viene assunto come partner dal colosso Pwc. Prenderà probabilmente il doppio di quanto percepiva da dirigente, figurarsi da funzionario. Stiamo parlando di civil servants che non avrebbero mollato le istituzioni neanche a colpi di cannone. Ma c'è un limite a tutto. E non è finita. Dalla medesima struttura sono in uscita altri quattro «funzionari», due dei quali hanno praticamente già firmato il contratto. Smontare questa struttura è un disastro sia per noi liberisti antistatalisti accaniti, sia per l'Agenzia in sé. Questi ragazzi parlano infatti il linguaggio del mercato e non quello della burocrazia, con loro si ragiona, non sono ideologicamente avversi al privato. Anzi. Per l'Agenzia e per Renzi il rischio viceversa è invece che nei prossimi mesi gettito e accertamenti crolleranno drasticamente. E a poco varrà il trucchetto contabile di computare gli introiti della voluntary disclosure (manovra una tantum) nel contrasto all'evasione.

Sono guai.

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