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"L'immigrazione? Piace alle élite a scapito dei ceti popolari"

Nell'analisi di Barba e Pivetti, l’immigrazione ha come conseguenza aggravamento degli effetti della mondializzazione sul potere contrattuale dei lavoratori e sulle condizioni generali di vita dei ceti popolari

"L'immigrazione? Piace alle élite a scapito dei ceti popolari"

Anche da "sinistra", per quanto questa parola possa anche avere un significato, non sono mancate in questi anni critiche - anche feroci - all'immigrazione di massa che ha "investito" il nostro Paese. Purtroppo, tuttavia, si tratta di posizioni minoritarie che sono state completamente oscurate o ignorate dalla propaganda immigrazionista compulsiva dei progressisti e del partito Open Borders. Basti pensare al corrispondente di Repubblica FedericoRampini, che intervistato la scorsa primavera su La7 per presentare il suo libro La notte della sinistra (Mondadori) spiegava come "l’immigrazione impoverisca i Paesi di partenza, in modo drammatico" e rappresenti, prima di tutto, "partenza di èlite che depauperano di risorse il loro Paese di cui quel Paese ha bisogno", mettendo in discussione i totem ideologici della sinistra politicamente corretta.

Critiche alla sinistra snob che predica l'accoglienza indiscriminata le ha espresse anche Carlo Freccero su Il Manifesto, quando ha sottolineato come "i bisogni identitari e culturali non sono necessariamente fascisti o di destra e l’occidente non è necessariamente il migliore dei mondi possibili". Temo, ha sottolineato Freccero, "che la sinistra, privata dalla sua classe di riferimento, il proletariato, abbia fatto dei migranti una sorta di foglia di fico per dimostrare di essere ancora dalla parte dei più deboli". A queste due voci autorevoli se ne aggiungono ora altre due, quelle di Aldo Barba, professore associato di Politica economica all'Università di Napoli Federico II, e di Massimo Pivetti, che è stato ordinario di Economia politica all'Università di Roma La Sapienza.

Due studiosi tutt'altro che "sovranisti" o di "destra" - anzi - autori di un nuovo, importante, libro intitolato Il lavoro importato Immigrazione, salari e Stato sociale edito da Meltemi. Nell’analisi di Barba e Pivetti, l’immigrazione ha come conseguenza aggravamento degli effetti della mondializzazione sul potere contrattuale dei lavoratori e sulle condizioni generali di vita dei ceti popolari. Solo escludendo ogni concorrenza tra lavoratori di nazioni diverse possono aversi forme concrete di solidarietà internazionale: questo significa che l‘importazione dei lavoratori rappresenta il canale più diretto attraverso il quale si verifica questa concorrenza, di per sé incompatibile con la solidarietà.

D'altro canto solo la sinistra chic pare non capisca - o faccia finta di non capire - gli effetti sociali devastanti di importare manodopera a basso costo. Come spiega Francesco Borgonovo su La Verità, la tesi dei due professori, in estrema sintesi, è che "sostanzialmente l'immigrazione serve a costruire un esercito industriale di riserva, ad abbassare i salari dei lavoratori autoctoni, a colpire i ceti medi e popolari, a creare una lotta spietata fra gli ultimi della fila a beneficio delle élite". Secondo Barba e Pivetti, a differenza di ciò che sostiene Tito Boeri, "i flussi migratori possono contrastare l'invecchiamento demografico in misura molto più limitata di quanto comunemente si crede". Spiegano poi che "la crescita delle forze di lavoro registrata grazie all'apporto degli immigrati avrebbe potuto verificarsi anche senza questo apporto, semplicemente attingendo dalle forze di lavoro potenziali costituite dai lavoratori nativi scoraggiati e da quelli impiegati involontariamente a tempo parziale".

Ma questi sono soltanto due passaggi di un libro scritto con grande rigore e che smonta, pezzo per pezzo, la solita cantilena buonista sull'accoglienza ed evidenzia altresì come quest'ultima piaccia particolarmente alle élite e assai meno ai lavoratori e ai ceti popolari. È la stessa sinistra liberal piegata al pensiero unico che, come spiega anche Francis Fukuyama, "anziché costruire solidarietà attorno a vaste collettività come la classe operaia o gli economicamente sfruttati, si è concentrata su gruppi sempre più ristretti che si trovano emarginati secondo specifiche modalità". E questo alle élite piace moltissimo perché sono evidenti i benefici che queste ultime possono trarre dall'importare lavoratori a basso costo da sfruttare.

Barba e Pivetti, nel loro saggio, lo spiegano in maniera articolata e approfondita.

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