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Matteo conteso dalle due anime padane

Dai moderati di Giorgetti ai pasdaran salviniani: le visioni diverse ostacolano l'alleanza

Matteo conteso dalle due anime padane

Roma Il dominus indiscusso è lui, il capo. Ma Matteo Salvini non guida un monolite bensì un partito e come in ogni partito ci sono anime e sensibilità differenti. Più che falchi e colombe si possono distinguere due ruote del Carroccio: i dialoganti e gli ortodossi. I primi sono quelli più avvezzi ai riti della politica e sono i predicatori della cautela: «Non rompere ma trattare», è il loro motto.

Il generalissimo di questa schiera, peraltro molto ascoltato da Salvini, è Giancarlo Giorgetti, il Gianni Letta del Carroccio. Instancabile e diplomatico a ventiquattro carati è quello che più di ogni altro predica prudenza a Salvini. E si diceva che fosse stato lui a suggerire al capo di non rompere definitivamente con gli alleati sulla questione Roma. «Ha vinto la linea Giorgetti», si mormorava il giorno della conferenza stampa di Salvini nella quale il capo leghista disse che «alle gazebarie non ha vinto nessuno» e che «la priorità era individuare un nome condiviso da tutti gli alleati». I cosiddetti giorgettiani, che sono però anche tutti salviniani, in Parlamento sono moltissimi: sono i due capigruppo di Camera e Senato, Max Fedriga e Gian Marco Centinaio; ma anche i senatori Johnny Crosio, Raffaele Volpi, Stefano Candiani. A Montecitorio, invece, ci sono senza dubbio i fedelissimi Nicola Molteni e Gianluca Pini. Altri due big spingono affinché si trovi la quadra con gli alleati e non si giunga a un punto di rottura: uno è il senatore Roberto Calderoli, l'altro è Umberto Bossi, mosso da sincera amicizia nei confronti di Berlusconi.

Salvini, tuttavia, appare piuttosto scalpitante e poco propenso alla trattativa. C'è infatti l'altra anima della Lega che lo pompa e lo dipinge quotidianamente come leader assoluto e indiscusso di tutto il centrodestra: sono i giovani padani, migliaia di membri sparsi un po' in tutte le regioni, che hanno il proprio zoccolo duro a Milano e in Lombardia. Sono loro, gli ultras salviniani, i refrattari all'alleanza con Forza Italia. Considerano gli azzurri una zavorra all'ascesa del loro leader e pensano che la trattativa inquini l'ortodossia leghista. Organizzati e compatti, muovono le loro schiere sui social network e intervengono in massa su Facebook per dettare la loro linea oltranzista. Non c'è un vero e proprio capo ma nello zoccolo duro si possono inserire a pieno diritto i consiglieri milanesi Alessandro Morelli e Igor Iezzi. Qualcuno parla di loro come di una setta; una sorta di tribù scalpitante che sogna Salvini unico leader del centrodestra. E Salvini, particolarmente attento alla pancia del suo movimento, pare stia seguendo la linea più oltranzista dei suoi. I quali non amano neppure il tentativo di sfondamento - non del tutto riuscito - al Centro-Sud. Non amano nemmeno Giorgia Meloni, considerata «beneficiata» dalla luce e dalla visibilità ricevuta da Salvini. Per loro Roma non è una priorità e sarebbe meglio perdere con una bandiera come Irene Pivetti che non giocarsela con chicchessia.In ogni caso Salvini, dopo aver fatto fuori l'unico oppositore interno, Flavio Tosi, non ha avversari. O, quantomeno, non c'è chi ha la forza di alzare la testa. Venerdì scorso il consiglio federale di Milano ha di fatto benedetto la linea del segretario e nei precedenti congressi regionali hanno vinto tutti gli uomini di Matteo.

A questo punto, quindi, si può dire che l'unico avversario temibile per Salvini è se stesso e la sua ambizione.

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