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"Malta non fa da Babbo Natale". Ecco perché proibisce lo sbarco dei migranti

Il premier maltese non cambia idea: Malta non vuole creare un precedente che trasformerebbe l'isola nel punto di approdo del Mediterraneo

"Malta non fa da Babbo Natale". Ecco perché proibisce lo sbarco dei migranti

Malta non vuole cedere. E le Ong non le farà sbarcare. Il motivo? Non vuole fare la parte di "Babbo Natale", che regala la scusa agli altri Paesi (Italia in testa) per considerare La Valletta il punto di approdo per tutto il Mediterraneo.

Il caso di Sea Eye e Sea Watch, ferme al largo di Malta con 49 migranti, continua a tenere banco sulla politica internazionale. La Ue aveva provato a raggiungere un accordo per la redistribuzione, Di Maio aveva aperto all'accoglienza italiana di donne e bambini, ma poi Salvini ha posto il suo veto e tutto pare essersi fermato. Tra La Valletta e Roma (sponda grillina) si è creata una forte tensione, fatta di post (di Di Maio) e comunicati piccati (del ministro maltese).

Ora è il ministro di Malta, Joseph Muscat, a spiegare perché non intende lasciar approdare le navi umanitarie nel suo porto (nei giorni scorsi ha dato l'ok agli aiuti, ma non all'approdo). Il ragionamento del premier è questo: la cosa più semplice per il suo governo sarebbe quello di far scendere i migranti a terra e chiudere la questione. Perà in questo modo reciterebbe la parte di "Babbo Natale". Il problema è che in questo modo l'isola potrebbe diventare il punto di approdo di tutti i migranti bloccati in mare da stalli politici. In sostanza, rischierebbe quello che ha sempre accuratamente evitato di diventare. "Ci sono molte opinioni diverse sulla dinamica di questi salvataggi e su come sono stati condotti, ma non voglio entrare nel merito ora", ha detto Muscat parlando dei metodi di salvataggio delle Ong. La linea che Malta vuol far passare è questa: La Valletta non è e non sarà responsabile di coloro che non vengono salvati in aree Sar diverse da quella libica.

Peccato che sia quello che ha fatto l'Italia nei tre anni precedenti, cioè farsi carico nei fatti delle aree di recupero e soccorso di Libia e Tunisia. “L’area italiana di responsabilità” italiana, spiegò qualche tempo fa l’ammiraglio Vincenzo Melone ai senatori in Commissione, “copre 500mila chilometri quadrati di mare, il doppio del territorio italiano, ma di fatto ci troviamo a effettuare interventi su 1 milione e 100mila km quadri, praticamente metà del Mediterraneo. La Libia e la Tunisia, infatti, hanno ratificato la Convenzione di Amburgo, ma non hanno mai provveduto a definire le loro rispettive aree sar o a predisporre un’organizzazione ad hoc, e dove finiscono le aree sar italiana e maltese si crea un buco”.

Nel suo intervento, riportato dal Times of Malta, il premier dell'isola conclude: "Se si fosse accettato di far sbarcare le navi delle due ONG sin dall'inizio senza chiarimenti, i bulli avrebbero vinto, mentre i paesi come Malta che rispettano le leggi e salvano vite, sarebbero finiti per essere le vittime".

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