Politica

Da Monti a Letta, quegli illusi che ora sognano Palazzo Chigi

Gli ex capi dell'esecutivo ma anche il ministro Calenda e il fustigatore Cantone si fanno sotto se salterà Matteo

Da Monti a Letta, quegli illusi che ora sognano Palazzo Chigi

Mario Monti che si schiera per il No al referendum. Enrico Letta che tende la mano al successore, dichiarando che voterà Sì, ma sembra dire «Matteo stai sereno». Posizionamenti sospetti almeno quanto la prudenza di altre personalità in ascesa, attente per ora a non fare ombra al premier, ma pronte a prenderne il posto quando sarà il momento.

Movimenti sempre più visibili, che ricordano meccanismi che la politica italiana conosce bene e sono stati innescati dai sondaggi sul voto di dicembre. Il No è in vantaggio quasi per tutti gli osservatori. Il governo rischia di cadere e sul dopo aprono scenari infiniti. Un'area di manovra che si sta già affollando di aspiranti premier. C'è la «banda degli ex presidenti». Riferimento a un film degli anni Novanta applicato all'attivismo anti sistema di tanti predecessori di Renzi.

Massimo D'Alema in primo luogo, leader del «No» nel Partito democratico. Nel suo caso una battaglia molto personale ma, per una volta, senza avere come obiettivo Palazzo Chigi. Lo ha detto chiaramente: dopo il voto del 4 dicembre tornerà al suo posto. E questa volta c'è da credergli.

Non si può dire lo stesso di Mario Monti. Protagonista della fine del governo Berlusconi e, da martedì scorso, oppositore di Renzi. Ha dichiarato che voterà contro le riforme che in realtà da parlamentare ha votato, si è scagliato contro «bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica». A questa argomentazione rigorista, ha accompagnato una serie di rivendicazioni impensabili quando era premier. Ad esempio di avere introdotto la prima patrimoniale in Italia, cioè la stangata sugli immobili. Il fatto che oggi lo ammetta è il segnale che Monti guarda soprattutto a quel mondo che sta a sinistra di Renzi. Al vecchio Pd vicino alla Cgil.

Che dentro quel mondo si stia pensando da tempo a chi sarà il successore di Renzi, se e quando vincerà il No al referendum, non è un mistero. Ma è difficile che il candidato di Pier Luigi Bersani e degli altri oppositori del premier sia proprio Monti. Con una buona dose di realismo togliattiano, gli ex Pci in queste settimane hanno pensato a un passaggio di consegne che non sia traumatico. Sicuramente un moderato, ma deve avere le doti dell'attuale premier, ad esempio la capacità di comunicare, e magari un valore aggiunto. Come la capacità di muoversi dentro scenari internazionali e su temi tecnici. Si era fatto il nome dell'attuale responsabile dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Ministro giovanissimo, molto renziano e uno dei pochi membri del governo a non vivere di luce riflessa.

Dato comune di tutti gli aspiranti rottamatori di Renzi: si muovono su ipotesi di governi di transizione, soluzioni istituzionali guidate dalla presidenza della Repubblica. Nei retroscena di qualche giorno fa è spuntato il nome di Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità anticorruzione, come soluzione che sarebbe gradita allo stesso Sergio Mattarella.

Ma c'è chi si muove dentro il Partito democratico. Ad esempio Enrico Letta che, come scritto dal Giornale nei giorni scorsi, è intenzionato in caso di vittoria del No, a scendere in campo candidandosi al congresso Pd. In questo caso la vecchia Ditta vedrebbe di buon occhio una sua candidatura. Lui vive a Parigi in una situazione che è tutto tranne che un esilio dorato.

Fa politica e aspetta il momento giusto per riprendersi la campanella di Palazzo Chigi.

Commenti