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Nelle carceri islamizzate il governo manda gli imam meno affidabili

A prevenire la radicalizzazione dei 6mila detenuti musulmani sono religiosi sospetti

Nelle carceri islamizzate il governo manda gli imam meno affidabili

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando grida «al lupo», ma dimentica che i primi a spalancar le porte alla bestia sono i suoi uomini. Nell'intervista di giovedì al Corriere della Sera - in cui denuncia la presenza nelle carceri di 345 detenuti islamici radicalizzati che inneggiano allo Stato Islamico - il ministro si guarda bene dal ricordare che dentro le stesse prigioni operano, grazie ad una convenzione stretta dal suo ministero, gli imam dell'Ucoii, ovvero quell'«Unione delle Comunità Islamiche Italiane» considerata intimamente connessa alla Fratellanza Musulmana. Tutto inizia lo scorso novembre quando, in concomitanza con le stragi di Parigi, il Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo firma un protocollo d'intesa con l'Ucoii. Grazie a quel protocollo gli imam scelti dall'associazione ottengono il libero accesso a otto carceri. A Torino, Milano, Brescia, Verona, Modena, Cremona e Firenze i predicatori con il tesserino dell'Ucoii diventano i «gestori» della sala utilizzata come luogo di culto dai detenuti musulmani ed i responsabili di quelli che il protocollo definisce «momenti collettivi di preghiera». Ma non solo. L'intesa - come sottolinea lo stesso Ucoii - va ben più in là perché punta a «promuovere azioni mirate all'integrazione culturale avvalendosi dei mediatori indicati dall'Ucoii anche attraverso la stipula di convenzioni con Università ed Enti che cureranno la formazione dei volontari cui è data la possibilità di accedere con continuità negli istituti penitenziari». Grazie a quell'accordo l'Ucoii monopolizza, insomma, la gestione degli oltre seimila detenuti musulmani presenti nelle nostre carceri e si ritrova nella condizione di plasmarli e indirizzarli. Per capire quali siano i rischi connessi a quest'operazione bastano i recentissimi elogi indirizzati al presidente turco Recep Tayyp Erdogan da Hamza Piccardo, fondatore e uomo di punta dell'Ucoii. «Quel che conta afferma Piccardo - è che a quasi 100 anni da Ataturk la Turchia torna ad essere una grande nazione musulmana di fatto e di diritto. Allah protegga nostro fratello Recep Tayyip Erdoan e tutto il popolo turco». Posizioni perlomeno discutibili, ma che diventerebbero pericolosissime se ripetute, diffuse e propagandate davanti ai detenuti di fede musulmana dai predicatori dell'Ucoii. Il rischio, detto in soldoni, è che gli imam - fatti entrare nelle nostre carceri per prevenire la radicalizzazione - svolgano una funzione esattamente opposta trasformandosi nei catalizzatori stessi del ben noto processo contribuendo a trasformare i piccoli criminali in terroristi provetti. Un disguido tecnico, chiamiamolo così, già sperimentato in Francia dove gli imam, fatti entrare nelle prigioni già negli anni 90, hanno finito con il svolgere proprio la deleteria funzione di istigatori del fanatismo islamista. A rendere il tutto più inquietante s'aggiungono le recenti prese di posizione di Maryan Ismail, l'esponente somala e musulmana fuoriuscita da un Pd milanese accusato d'intrattenere rapporti troppo stretti con varie organizzazioni, tra cui l'Ucoii, legate all'Islam radicale. «Un Islam - spiega la Islamil - dove politica e religione sono profondamente intrecciate, identificabile in quel wahabismo della Fratellanza Islamica promosso da varie sigle nazionali e territoriali come Ucoii e la milanese Caim». Per capire cosa intenda Maryan Ismail basterà ricordare che l'ideologia dei Fratelli Musulmani, a cui aderiscono tanti dirigenti e militanti dell'Ucoii, è la stessa di Hamas e punta ad estendere il ruolo guida della «sharia» (la legge del Corano) a tutti i campi dell'attività umana dalla gestione dello stato a quella della famiglia e dei rapporti sociali.

A prima vista non sembrerebbe la ricetta migliore per prevenire la radicalizzazione, ma evidentemente al ministero di Giustizia non devono averci fatto troppo caso.

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