Politica

Il nostro ius soli come l'estrazione

Per i figliocci del "politically correct" il mostro da sconfiggere non è chi ci uccide, ma chi non vuole dare la cittadinanza

Il nostro ius soli come l'estrazione

Nella Grande Mela macchiata dal sangue di otto vittime del terrore islamista divampa la rabbia di liberal e democratici. A indignarli non è la strage più efferata messa a segno a New York dopo l'11 settembre. A turbarli è la proposta del presidente Donald Trump di cancellare la lotteria che distribuisce ogni anno 50mila permessi di residenza e lavoro permanenti (le green card) ad altrettanti migranti di tutte le origini e provenienze.

Lo stragista uzbeko Sayfullo Saipov è arrivato negli Usa grazie a quella lotteria, ma questo non sembra suggerire nulla alle anime belle del progressismo americano. Pur di attaccare Trump dimenticano che dal 2007 a oggi il Congresso ha cercato per ben cinque volte di riformare il sistema cancellando l'insulsa e pericolosa tombola. Non stupiamoci. L'ingenuità o l'ipocrisia di quegli americani non è molto diversa da quella di chi in Italia plaude allo ius soli e sostiene di considerarlo non una minaccia, ma uno strumento in grado di garantire una migliore integrazione. Tra l'affidare l'accoglienza a una sorta di estrazione a premi e garantire la cittadinanza a chi ha frequentato un semplice ciclo scolastico, come le cinque classi elementari, è insita la stessa sottovalutazione del rischio, la stessa incapacità di valutare le minacce del presente. Una lotteria non può discriminare tra un probabile terrorista e un perfetto migrante capace d'adeguarsi ai valori della civiltà statunitense. Un ciclo elementare, insufficiente a regalare un'identità nazionale persino ai nostri figli, non basta a trasformare i bimbi stranieri in nuovi italiani. Soprattutto se provengono da comunità come quelle islamiche caratterizzate, lo dimostrano statistiche e sondaggi, dalla presenza fisiologica di un 30% di aderenti decisi a rifiutare nel nome della sharia gli ordinamenti dello Stato in cui vengono accolti. Ritenere che la prole di quello zoccolo duro possa rinunciare dopo un singolo ciclo scolastico alle idee inculcate in loro da una coppia di fondamentalisti equivale a illudersi che un'estrazione a premi possa portar in America solo migranti di specchiata onestà e generosi ideali.

Ma le analogie tra i sostenitori dello ius soli e i nemici di Trump non si fermano qui. Le sbigottite anime belle d'oltreoceano da ieri tornano a puntare il dito contro un Trump deciso, nonostante i tre blocchi successivi impostigli dai magistrati, a riproporre il travel ban, ovvero severe misure di selezione per i migranti provenienti da Paesi a rischio come Siria, Irak, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. A sentir loro il travel ban non sarebbe servito a bloccare lo stragista della pista ciclabile perché l'Uzbekistan non è inserito nelle liste dei Paesi a rischio della Casa Bianca. Il giochino delle tre carte è lo stesso utilizzato da chi in Italia ci vende lo ius soli come un indispensabile palliativo per evitare l'emarginazione e disinnescare il rischio terrorismo. Quando lo propongono si guardano bene dal ricordare che la gran parte degli oltre 5mila jihadisti europei andati a combattere con l'Isis in Siria e Irak erano figli di migranti. Seconde e terze generazioni a cui Inghilterra, Francia Belgio e Svezia, tanto per citare i Paesi più colpiti dal fenomeno, avevano concesso cittadinanza e agevolazioni nel nome di una migliore integrazione.

Per descriverci l'Islam come è una religione aliena da qualsiasi insita predisposizione alla violenza settaria ci spiegano invece che la maggior parte degli attentati non è stata messa a segno da migranti, ma da cittadini nati e cresciuti in Europa. Insomma per i figliocci del politically correct da Roma a Washington vale solo una regola.

Il mostro da sconfiggere non è chi ci uccide, ma chi come Trump tenta di contrastarne le perniciose illusioni.

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