Cronache

Alle Olimpiadi dell'orgoglio si sfidano gli eroi della guerra

Sono nostri soldati, hanno subito mutilazioni in combattimento, saranno in gara in ogni sport. E non mollano mai: "Perché noi siamo quello che faremo"

Alle Olimpiadi dell'orgoglio si sfidano gli eroi della guerra

«La cosa più difficile è stata metter la testa sotto il lenzuolo e sbirciare quel che mancava.... alla fine ho alzato le coperte, ho guardato e mi son detta: bene Monica la gamba vecchia non c'è più, ma quella nuova sarà ancora meglio». Il Caporal Maggiore Scelto Monica Contrafatto ricorda così il giorno in cui capì di aver perso una gamba. Inizia tutto il 24 marzo 2012. Quel pomeriggio le granate di mortaio cadute sulla base Ice nel cuore dell'Afghanistan, le azzannano la gamba, le lacerano l'intestino. I compagni del Primo reggimento bersaglieri la raccolgono dalla polvere, si fanno il segno della croce, la guardano scomparire nell'elicottero. Oggi quattro anni dopo veste ancora la divisa, si batte ancora per la bandiera a cui ha regalato un pezzo di se, ma soprattutto continua a correre come un bersagliere.

Tra pochi giorni, dopo l'apertura degli «Invictus Games», in programma dall'8 al 12 maggio a Orlando in Florida, sarà in pista con il suo arto artificiale per difendere i colori dell'Italia nei cento metri piani e nel nuoto. «Correre era la mia passione e lo è ancora. Anche per questo - racconta - mi sono innamorata dei bersaglieri, fino a diventare una di loro... e per questo dopo la ferita ho iniziato questa nuova avventura». Un'avventura in cui si batte al fianco di altri 16 reduci mai vinti, mai domati. Reduci che, come lei, hanno donato una pezzo di se all'Italia e non rinunciano a battersi per la propria bandiera. «Quando, qui a Orlando, l'ho vista sventolare ho sentito lo stesso brivido che provavo nelle operazioni all'estero» racconta il tenente colonnello Pasquale Barriera rimasto disabile nel 2001 durante una delle prime missioni afghane. Sui campi di Orlando lui e il resto della nostra squadra gareggeranno con i veterani di altri Paesi che, come loro, hanno subito menomazioni permanenti. Sono i Giochi di chi non molla mai.

I giochi ideati e lanciati dalla «Royal Foundation» di quel principe inglese Harry che - dopo aver pilotato gli elicotteri da combattimento in Afghanistan - ha voluto delle competizioni capaci di restituire la voglia di lottare a chi aveva donato anima e corpo alla propria nazione. Sono i giochi di chi nonostante «i colpi d'ascia della sorte» - come recita la poesia Invictus dell'inglese Ernest Henley - continua a tener alto il «capo sanguinante, ma indomito». I giochi di chi non smette di ripetersi «io sono il padrone del mio destino... io sono il capitano della mia anima».

La squadra italiana vi partecipa sotto la guida del tenente colonnello Gianfranco Paglia, la medaglia d'oro che nella battaglia di Check Point Pasta, del 2 luglio 1993 in Somalia, viene colpito per tre volte e perde l'uso delle gambe mentre tenta di soccorrere i commilitoni in difficoltà. Dal 2014 - quando l'Italia conquista due ori, due argenti e un bronzo agli «Invictus Games» di Londra - Paglia è l'anima ed il volto della squadra azzurra. Ma al suo fianco nella pattuglia di «mai vinti» ha altri 16 irriducibili tornati a sorridere e lottare grazie allo sport. «Non siamo quello che la vita ci ha fatto, ma siamo quello che faremo». La frase, diventata il motto della squadra italiana, porta la firma del tenente colonnello Roberto Punzo. Per questo campione del tiro con l'arco in sedia a rotelle - competere significa «tornare ad essere autori della trama della vita». Una vita ridisegnata dalle schegge che lo colpiscono il 23 luglio 2006 mentre è in missione - come osservatore dell'Onu - nel sud del Libano, durante la guerra tra Israele ed Hezbollah. E a riscrivere la propria storia attraverso il canottaggio e il ciclismo ci prova anche il 36enne sergente Andrea Adono. Per 16 anni la sua vita di alpino paracadutista del 4° Reggimento Monte Cervino è un susseguirsi di missioni ed azioni.

Fino a quel 16 luglio 2010 quando - durante un'operazione con le forze speciali della Task Force 45 intorno alla base di Bala Murgab - si ritrova al centro di una furibonda battaglia con i talebani. «Quel giorno dopo essere stato colpito, per una manciata di secondi ho perso di vista l'obiettivo: in quei momenti pensi alla famiglia, a tua moglie, al figlio piccolo e a quell'altro che sta per nascere. Pensi anche che potresti morire. Ma dura un attimo: poi torni in te e l'unico pensiero diventa la missione assegnata e la sicurezza dei tuoi compagni. Così ho ricominciato a sparare». Grazie alla sua determinazione quel giorno salva i compagni intrappolati sotto il fuoco nemico e si guadagna una medaglia d'oro. Ma da quel giorno la sua gamba non è più quella di prima. Ad Orlando è all'inizio di una nuova missione. E può di nuovo vincere.

Perché, come recita la poesia che da il nome ai giochi «nella feroce morsa delle circostanze, non mi sono tirato indietro, né ho gridato».

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