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"Ponte, le vittime dell'incuria come quelle del terrorismo"

La proposta di Salvini a cinque anni dal crollo: "Tornerò con una legge che equipari le morti"

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Le vittime del Morandi come le vittime del terrorismo. Matteo Salvini va a Genova e promette una legge che collochi in una giusta cornice una tragedia che non può essere derubricata alla voce calamità naturale. Lo Stato non ha fatto tutto quello che doveva ed è chiamato oggi a dare una risposta forte. È quello che affermano le massime cariche del Paese nel giorno del quinto anniversario del crollo: il ponte venne giù il 14 agosto 2018 portandosi via quarantatré vite e un pezzo di dignità delle istituzioni.

Il Paese aspetta giustizia, ricorda da Roma il presidente della Repubblica, mentre la premier Giorgia Meloni chiede scusa a chi porta le stimmate di un dolore indelebile.

Salvini visita i luoghi del disastro, commemora chi non c'è più, poi prova ad alzare lo sguardo, legando fra loro epoche e drammi diversi: «Piangiamo 43 persone morte non per sfortuna, per il caso o per il cambiamento climatico ma per l'avidità dell'uomo e conto che qualcuno paghi il conto per questa avidità. L'anno prossimo spero di portare in dote, oltre alla vicinanza e al cordoglio, una legge che equipari le vittime del Ponte Morandi e di altri episodi di incuria alle vittime del terrorismo.

Quella del vicepremier è una sorta di requisitoria: «Ci sono stati miliardi di euro di profitti, una parte dei quali avrebbe dovuto essere reinvestita in manutenzione».

Insomma, ci sarà una sentenza, a quanto pare fra non meno di un anno, ma quello sarà il primo tassello, dopo la ricostruzione a tempo record del ponte, di una strategia nel segno del riscatto e della vicinanza a chi ha patito e soffre ancora oggi.

Poi il ministro delle Infrastrutture si concentra sulla lunghezza del processo: «Non faccio il giudice ma siamo al quinto anniversario e il fatto che la sentenza di primo grado arrivi non prima del 2024 mi dice che bisogna investire in giustizia, riformare la giustizia».

Il tutto mentre prende forma con 47 richieste di rinvio a giudizio il secondo filone sui falsi report per ponti e gallerie e sulle barriere antirumore che rischiavano col vento di colpire le auto in corsa.

Gli chiedono perché dopo lo sbriciolamento del Morandi, non fu subito revocata la concessione ad Aspi e Salvini, all'epoca vicepremier nella squadra del Conte uno, allarga le braccia: «Espressi in diverse sedi il mio parere, ma non sempre puoi avere ragione. Non so perché non fu revocata la concessione, all'epoca non ero presidente del consiglio».

È andata così. Ora si deve marciare spediti verso il verdetto. «Il trascorrere del tempo - sottolinea Sergio Mattarella - non attenua il peso delle responsabilità per quanto è accaduto. Ed è responsabilità fare giustizia, completando l'iter processuale con l'accertamento definitivo delle circostanze, delle colpe, delle disfunzioni, delle dimissioni».

Un obiettivo irrinunciabile per una vicenda che è una pagina nera del Paese. «A chi il 14 agosto 2018 ha perso un figlio, un genitore, un caro - è il messaggio di Meloni - rinnoviamo oggi le doverose scuse dello Stato per ciò che è successo, pur consapevoli che nessuna parola sarà mai sufficiente per lenire la sofferenza e placare il desiderio di giustizia. L'orgogliosa reazione dei genovesi è un esempio potente della capacità del nostro popolo di non lasciarsi mai abbattere dalle difficoltà, anche le più estreme, e di sapersi rialzare».

Ma c'è ancora molto da fare e la premier lo riconosce senza tanti giri di parole: «Sono tante le domande poste dalla tragedia che sono rimaste senza risposta.

Sarebbe imperdonabile una tragedia impunita».

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