Cronache

Un "puro" matrimonio tra pubblico e privato. Ecco la strada da seguire

Il gesto di Della Valle rappresenta il prototipo di gestione dei beni culturali. Alla faccia di chi criticava

Un "puro" matrimonio tra pubblico e privato. Ecco la strada da seguire

Ecco un bell'esempio di ipocrisia e di eterogenesi dei sensi. Dopo anni di dibattiti distrutti, vili, inutili e retorici pronunciamenti, di protagonismi di pezzenti pronti a criticare e mai a fare, Diego Della Valle, il presidente del Consiglio, e il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, festeggiano la conclusione dei restauri del paramento esterno del Colosseo. Della Valle è giustamente orgoglioso e lo manifesta con sufficiente sobrietà ed eleganza: «È una bella cosa per l'Italia, un bel segnale. Mi sento orgoglioso di essere italiano. È un modo di dire ai tanti amici e colleghi che fanno già tanto: dobbiamo occuparci ancora di più del nostro Paese». All'inizio l'ho preso di traverso. Si millantò il potentissimo mecenate giapponese che avrebbe dato 600 milioni invece dei miseri 25 di Della Valle. Per farlo d'oro, forse. Il consueto spreco di denaro nella retorica del restauro, un mercato gonfiato che fa pagare allo Stato dieci volte quello che paga un privato per lo stesso lavoro. Ignorando l'esempio della Chiesa, che non pone limiti, né massimi né minimi, alla misericordia e all'elemosina, i 600 annunciati e sperati sarebbero stati preclusivi per i 25 reali.

Fatto sta che tra mille polemiche sembrò che Della Valle, invece di dare, avesse preso. Preso cosa, poi? Nella retorica degli antagonisti ad ogni costo, per essersi fatto pubblicità, per avere «sfruttato» il monumento e il suo glorioso nome. Come se non vi fossero in Italia centinaia di cantieri con impalcature rivestite di infami (e fortunatamente temporanee) pubblicità. Sfido qualcuno ad avere trovato il marchio «Tod's» nel raggio di un chilometro attorno al Colosseo, o sulle arcate, sui teli che rivestono i tubi innocenti. Niente, nessuna traccia. Eppure Della Valle fu mortificato e umiliato come se avesse umiliato il Colosseo solo con la sua proposta. Furono inventate da polemisti in servizio continuo effettivo contrapposizioni al mecenate americano, sofisticatissimo, di Ercolano, David W. Packard. Quello sì bravo, rispettoso, perfino meglio dello stato etico che avrebbe il dovere di rifiutare l'offerta offensiva di Della Valle e agire direttamente. Una quantità di cretinerie senza capo né coda, smentite oggi dai fatti come lo furono in decenni di finanziamenti privati arrivati attraverso fondi internazionali a Venezia. Banca Intesa promuove il restauro di dipinti e sculture, presentati in mostra dalle ricorrenti Restituzioni (l'ultima in corso ora alle Gallerie d'Italia, in Piazza della Scala a Milano). Tutto bene. Lodi e plauso. Della Valle mette a disposizione 25 milioni per il Colosseo ed è un'offesa dello Stato che si umilia ad accettarli.

Cosa risponderanno ora i critici certamente non domi che, senza una sola pretesa o condizione posta da Della Valle allo Stato, il primo lotto di lavori è finito, e l'unico «ritorno» di Della Valle è stato quello garantito dai loro articoli e manifestazioni contro di lui? Con Della Valle è stato posta un condizione di principio: lo Stato ha il dovere di tutelare i propri documenti simbolici. E come lo fa o dovrebbe farlo? Con i denari ricavati dalle tasse, dalle imposte, quindi dai cittadini. E se il cittadino vuole pagare di più? Farsi «contribuente» oltre il dovuto? Quale sarà la differenza? Della Valle non ha chiesto nulla e, anzi, ha preferito non esibire il suo marchio, non utilizzare il nome del Colosseo. Ma poteva almeno dire di avere voluto finanziare quell'intervento? No, è esibizionismo, utilizzazione dello Stato. In questa retorica si è creato un conflitto che appariva incomprensibile al virtuoso ministro Massimo Bray, che mi consultò. Era imbarazzato con i suoi amici che descrivevano Della Valle come un mostro. Il mostro non si è manifestato, il restauro sì. Mi piacerebbe leggere come giustificano oggi la loro campagna dissuasiva (arrivata fino al punto di fare scoraggiare Della Valle) raccontandoci quali scelleratezze, quali abusi abbia compiuto, quali profitti o «ritorni» abbia avuto, e cosa li abbia spinti sotto forma di polemica a fargli una così formidabile pubblicità facendo parlare di lui, in articoli redazionali, come non sarebbe stato in grado neppure con la più grande azienda pubblicitaria. Della Valle ha fatto, loro hanno propagandato, con riserve ridicole, il suo fare. Onore allo Stato e alla sua capacità di agire senza lasciarsi intimidire.

Avrei desiderato io qualche milione di euro da Della Valle per restauri e interventi che non hanno trovato un patrono così generoso e discreto. Io gli garantirei la massima diffusione del suo agire.

So anche a quale ufficio stampa rivolgermi.

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