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Quei 1.800 km di costa in mano ai trafficanti. Il governo cerca alleanze per pattugliarli

La lunghezza del tratto da controllare decuplicata rapidamente. Il nodo Libia

Quei 1.800 km di costa in mano ai trafficanti. Il governo cerca alleanze per pattugliarli

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Mille e 300 chilometri da Tripoli al confine egiziano. Altri 492 da Tripoli a Sfaax in Tunisia. In totale 1800 chilometri nelle mani dei trafficanti di uomini. Un allargamento impressionante rispetto ai 180 chilometri di costa tra Zouara, Tripoli e Castelverde fulcro, fino a qualche tempo fa, dei flussi migratori. Un vero rompicapo per il governo Meloni che a differenza di un tempo non deve solo gestire i rapporti con la Guardia Costiera di Tripoli, ma anche stringere accordi con il presidente tunisino Kais Saied e ipotizzare complesse intese con il generale Khalifa Haftar elusivo «rais» delle partenze dalla Cirenaica.

Partenze rese drammaticamente attuali dalla tragedia dei migranti partiti da Tobruk e naufragati al largo del Peloponneso mentre puntavano sull'Italia. La Cirenaica di Haftar, come fanno capire i dati del Viminale, è ormai il nuovo asse portante dei flussi migratori libici. A fine maggio oltre 11mila dei circa 19mila sbarchi partiti dalla Libia, erano iniziati in Cirenaica. Il tutto a fronte dei poco più di 8mila partiti dalla Tripolitania e dei circa 23mila originatisi in Tunisia. Non a caso già ai primi di maggio la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell'Interno Matteo Piantedosi avevano ricevuto il generale Khalifa Haftar in visita a Roma. Ma il generale, nostro eterno cruccio fin da quando era legato a Parigi, non è un interlocutore né facile, né affidabile. Il suo ruolo sul fronte della lotta al traffico di uomini è quantomai ambiguo. Uscito sconfitto dalla tentata marcia su Tripoli lanciata nel 2019 il generale, oltre a misurarsi con i rivali interni, deve anche vedersela con le ristrettezze finanziarie causate dal ridimensionamento delle vecchie alleanze. I francesi han preso le distanze. I russi, impegnati in Ucraina, sono un alleato ormai assai avaro. E anche Emirati ed Egitto hanno stretto i cordoni delle borse. La valuta, ingente e pregiata, garantita dal traffico di uomini è diventata dunque un'esigenza improrogabile. In tutto questo il generale e il figlio Saddam, suo erede politico e militare, devono vedersela con Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk e con Fathi Bashaga, il potente ex-ministro degli interni di Tripoli alleatosi con il clan Haftar nel tentativo di farsi nominare premier della Cirenaica. Un'alleanza dissoltasi il 16 maggio scorso quando - dopo il rifiuto di Bashaga di garantire coperture finanziarie al clan Haftar - il generale l'ha fatto destituire con il voto dei deputati di Tobruk. Eliminato Bashaga il generale deve vedersela con un Aguila Saleh preoccupato di perdere non solo il controllo del Parlamento, ma anche della Marmarica, l'antica regione al confine con l'Egitto di cui è originario e dove le tribù a lui fedeli dirigono il traffico di uomini sottraendolo al controllo del clan Haftar. Da lì passano le migliaia di pakistani e bengalesi che dopo esser volati a Damasco con i charter della compagnia Cham Wings si uniscono ai migranti siriani ed egiziani, puntano sul porto di Tobruk e salgono sui barconi diretti in Italia.

Ma finché il traffico è nelle mani delle tribù fedeli a Saleh il ruolo di Haftar e di suo figlio Saddam resta elusivo. Non potendo gestire quel traffico di uomini il generale non può né incassarne i proventi, né prometterne il blocco all'Italia e agli interlocutori europei. Da qui una guerra feroce per il controllo del territorio e del potere politico.

Che impedisce all'Italia di trovare un interlocutore affidabile con cui trattare il blocco o il contenimento delle partenze dalla Cirenaica.

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