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Renzi ha paura e fugge dalle piazze

Per sostenere i candidati Pd, il premier andrà solo nei teatri: una mossa per evitare contestazioni e scarsa affluenza

Renzi ha paura e fugge dalle piazze

Roma - No, la piazza no, non si sa mai. Contestazioni, cartelli, buchi tra la folla: troppi rischi, chi ce lo fa fare? Meglio un teatro, magari non tanto grande e soprattutto che non sia l'Ambra Jovinelli, che l'altra volta nel 2013 a Pierluigi Bersani, già sicuro della vittoria, portò una grande sfiga. E così la scelta è caduta sull'auditorium della Conciliazione, a due passi da San Pietro, dove mercoledì sera Matteo Renzi si farà finalmente vedere a fianco di Roberto Giachetti.

Dopo tanti dubbi, il premier ha deciso dunque di «metterci la faccia», intervenendo a una delle manifestazioni conclusive della campagna elettorale del candidato del Pd al Campidoglio. Beppe Grillo nemmeno quella: salvo sorprese, il tre giugno a piazza del Popolo, al comizio finale di Virginia Raggi, manderà soltanto un video-messaggio registrato. Il leader, raccontano, vuole dare l'immagine che il M5s è capace di camminare con le sue gambe, vuol fare vedere che la Raggi è umana non è un robot telecomandato. Poi, semmai, il comico si materializzerà prima del ballottaggio. «

È un comizio, non il Festival di Sanremo», commenta Alessandro Di Battista. Semmai un piccolo David di Donatello, visto che sul palco ci saranno Dario Fo e Claudio Santamaria, forse pure Sabrina Ferilli e Fedez.

Manca una settimana e la corsa si è arroventata. Finora nelle città che vanno al voto il premier si è fatto vedere pochissimo. I sondaggi poco incoraggianti, l'esigenza di mettere al riparo Palazzo Chigi, la voglia di evitare di personalizzare lo scontro e di cercare di sfuggire all'effetto «tutti contro Matteo». Ma siccome, spiegano al Nazareno, il capo del governo è pur sempre il segretario del partito, ecco la scelta di sostenere i candidati del centrosinistra. Esserci, partecipare, dare un mano perché vincere è sempre meglio di perdere, però senza farsi coinvolgere troppo, questa in sintesi la difficile strategia equilibristica del presidente del Consiglio.

Quindi domani Renzi andrà a Torino, dove non lo vedono da tempo, per aiutare Piero Fassino che spera di farcela al primo turno. Mercoledì sarà a Roma con il renziano Giachetti. Martedì a Milano per condividere l'ultimo sforzo di Giuseppe Sala nel suo duello con Stefano Parisi. E per l'atto finale della campagna elettorale, venerdì tre giugno, ha scelto di giocare in casa, a Bologna, dove la vittoria appare sicura con la conferma del sindaco uscente Virginio Merola. Anche lì niente piazze, ma gli spazi confortanti della festa dell'Unità cittadina.

Molte le polemiche per la svolta renziana. «A Roma corre il partito di Palazzo Chigi», dice ad esempio Alfio Marchini. «È scandaloso che il premier non faccia il suo lavoro e continui a fare campagna elettorale attaccandomi», aggiunge la Raggi. «Mi piacerebbe che Renzi abbia con Milano un rapporto più istituzionale», protesta Parisi. «Sulle promesse e gli investimenti per Roma stanno combinando la qualunque. La differenza tra Renzi e il presidente del Consiglio che avremmo voluto avere è che Renzi è un capo di partito e noi avremmo voluto un capo di Stato», si lamenta Giorgia Meloni.

Dal Pd negano ingerenze o scorrettezze. Qui al partito, sostiene il vicesegretario Lorenzo Guerini, «c'è ottimismo», la scelta delle tappe «è soltanto una questione di agenda» e quanto al defilarsi, «Renzi non ha personalizzato perché si vota per i sindaci e non sul governo».

Anche per un antirenziano come Goffredo Bettini, per tanti anni uomo forte del Pd romano, «la polemica è fuori luogo: il premier è anche il segretario ha il dovere di sostenere il candidato del Partito democratico nella Capitale».

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