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Renzi prende gli ordini anche sul referendum

Merkel, Hollande e Draghi vogliono «stabilità»: ecco perché ha cambiato linea per favorire il Sì

Renzi prende gli ordini anche sul referendum

Roma Non è Matteo Renzi, a Ventotene, a evocare la parola magica «flessibilità», anche se il premier italiano tra le «priorità» dell'Europa mette la «crescita», invocando «misure forti e investimenti di qualità» per stimolarla.

La evoca invece Angela Merkel, ricordando che «nel Patto di Stabilità ci sono molte possibilità di flessibilità», ma che le decisioni in merito sono «compito della Commissione europea». E all'Italia di Renzi la Cancelliera riconosce di aver fatto «scelte coraggiose» ponendo con le riforme «pietre miliari per un'Italia sostenibile che abbia un futuro».

Dietro il minuetto diplomatico delle dichiarazioni pubbliche, nella conferenza stampa sulla Garibaldi, c'è una delle partite fondamentali per il suo governo che Renzi sta giocando in sede Ue: ottenere margini di flessibilità più ampi possibile per riuscire ad imbastire una manovra espansiva con la prossima legge di Stabilità. Un'operazione che, nella strategia del premier, deve assicurargli respiro in vista del cruciale referendum di novembre e creare quello che i suoi definiscono «un clima più favorevole per il Sì». È in questo contesto che va interpretato anche il cambio di rotta impresso da Matteo Renzi alla sua linea comunicativa sul referendum, a cominciare da quel messaggio lanciato dalla Versiliana: «Che vinca il Sì o il No, si voterà nel 2018». Un messaggio di stabilità, che in questo momento serve come il pane al premier per rafforzare la propria posizione negoziale con i partner europei: «Un conto è chiedere più flessibilità a Merkel e Hollande per fare una manovra che guarda ai prossimi anni da premier in sella, un altro è farlo da premier che a novembre potrebbe non esserci più», spiega un dirigente Pd.

Il pressing internazionale per tentare di sterilizzare gli effetti del referendum sul governo italiano è in corso da tempo: dalle cancellerie europee alla Bce di Mario Draghi fino agli Stati Uniti, l'allarme per un terremoto «peggiore della Brexit», come lo hanno definito grandi testate estere, se il governo Renzi saltasse dopo la consultazione sulla riforma costituzionale, è altissimo. Ieri, in un'intervista alla testata Usa Business Insider, il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz lo diceva chiaro: «Molti stanno lavorando affinché Matteo Renzi desista dalla sua promessa di dimettersi se il referendum fallisse». Perché altrimenti, spiega, l'Europa rischia di andare incontro ad un «cataclisma» che potrebbe portare alla fine dell'Unione e della moneta unica. Tanto che Stiglitz rivolge a Renzi un appello perché «rinunci» al referendum. Richiesta non accoglibile, ovviamente.

Ma sta di fatto che il premier ha preso atto degli allarmi, consapevole che possono giocare a suo favore per ottenere quel che chiede alla Ue, e ha avviato l'operazione «stabilità». Non si rimangia la promessa di dimettersi: «Se vince il No, farò quel che ho sempre detto che avrei fatto», ha confermato alla Versiliana.

Ma apre ad una gestione controllata della eventuale fase post-no: sarà poi il presidente Sergio Mattarella a decidere se dare il reincarico al dimissionario o promuovere un altro governo, che porti avanti gli stessi impegni.

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