Saltano le nozze Fca-Renault. Cosa può fare ora il Lingotto

Elkann: "Irragionevole andare avanti, proteggiamo i nostri interessi". Le sfide: produzione, elettrico e Cina

Saltano le nozze Fca-Renault. Cosa può fare ora il Lingotto

Adieu, madame Régie. Due comunicati nella notte di mercoledì e finisce un amore appena sbocciato. Fca e Renault abbandonano, per volontà del terzo incomodo, l'Eliseo, che si è comportato come se avesse avuto il 51% dell'azienda controllata, le ambizioni di costituire il terzo - all'inizio - gruppo mondiale dell'auto. E così i mancati sposi si leccano le ferite ma guardano subito avanti. Lo fa il ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, regista del fallimento dell'operazione in accordo con l'Eliseo, che ribadisce come il gruppo resti aperto a piani di consolidamento industriale, «in serenità e senza fretta». Intanto è volato a Tokio per il G20 e per incontrare lo stato maggiore di Nissan, al quale ha addebitato le ragioni della rottura con Fca.

Il presidente del Lingotto, John Elkann, con una lettera si è rivolto invece ai dipendenti del gruppo. E lo stesso hanno fatto, dall'Heritage Hub di Torino, in collegamento web con i lavoratori di tutto il mondo, l'ad Mike Manley e il responsabile del mercato europeo Pietro Gorlier. Anche Elkann ha sottolineato che Fca «continuerà a essere aperta a opportunità di ogni tipo che offrano la possibilità di rafforzare e accelerare la realizzazione di questa strategia e la creazione di valore». «La scelta di interrompere il dialogo con Renault - spiega Elkann - non è stata presa con leggerezza, ma con un obiettivo in mente: la protezione degli interessi della nostra società e di coloro che lavorano qui, tenendo chiaramente in considerazione tutti i nostri stakeholder». Ai francesi, quindi, ribadisce che «la decisione di iniziare queste conversazioni è stata corretta e presa dopo esserci preparati su tutti i fronti». Ma ricorda anche che «quando però diventa chiaro che le conversazioni sono state portate fino al punto oltre il quale diventa irragionevole spingersi, è necessario essere altrettanto coraggiosi per interromperle e ritornare subito all'importante lavoro che abbiamo da fare». La conclusione del messaggio: «Ora è tempo di concentrarci sul presente e sul conseguimento degli obiettivi che ci siamo posti per il 2019; Fca, sotto la leadership di Manley, è una società straordinaria, piena di persone eccezionali con una chiara strategia per un futuro forte e indipendente».

Dal nuovo spazio che narra la storia del gruppo, nell'ex Officina 81 di Torino, Manley ha quindi rassicurato i dipendenti sulla volontà di perseguire il piano industriale, in particolare lo sviluppo del polo italiano che prevede 5 miliardi di investimenti.

Al di là delle affermazioni dei vertici, Fca dovrà rimboccarsi le maniche alla ricerca di un nuovo socio, possibilmente, anche se non è facile, senza presenze ingombranti come nel caso di Renault. In Francia c'è anche Groupe Psa, il cui ad Carlos Tavares ha manifestato nei mesi scorsi un interesse per il Lingotto. Ma dopo quello che è successo e le polemiche politiche che sono riaffiorate tra Roma e Parigi, è meglio evitare la Francia. Anche perché, in Groupe Psa, il governo è pure presente.

Gli investimenti sull'elettrificazione, la necessità di riscatto in Cina (Nissan sarebbe stata il partner ideale, su entrambi i fronti), le sinergie produttive e le sempre più stringenti norme sulle emissioni, imporranno nuovi sacrifici. Sinergie e condivisioni di tecnologie tra gruppi restano un obbligo, come quello di creare società con volumi di produzione importanti (il progetto Fca-Renault da allargare a Nissan e Mitsubishi). Anche se da risolvere c'è il problema della saturazione degli stabilimenti allo scopo di farli «girare» nel modo più efficiente possibile. Nodo, questo, che a Fiat e Renault si sarebbe inevitabilmente presentato, soprattutto in Europa, allo scadere o forse anche prima degli accordi programmati con i rispettivi governi se l'operazione fosse andata in porto. Fca tornerà a guardare alla Cina? Magari a Geely, che qualche anno fa si era fatta palesemente avanti senza però avere un riscontro? Sulla Cina, però, vista la fondamentale componente Usa di Fca, incombe il problema dei dazi e l'attuale «allergia» manifestata da Donald Trump verso Pechino. E se Nissan rompesse clamorosamente con Renault? L'ad Hiroto Saikawa ha sbugiardato il ministro Le Maire che ha addossato ai nipponici le responsabilità della rottura con Fca.

«Ci stavamo approcciando positivamente - la replica del top manager -; c'è stata una possibilità di espandere le opportunità». Per i giapponesi il rispetto è sacro. Infine, le pagelle dei mercati: Fca (+0,09%) ed Exor sulla parità, Renault -6,4% e Nissan -1,7 per cento.

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