Cronache

Lo scafista è solo un profugo Arrestato l'eritreo sbagliato

L'uomo ritenuto il boss dei trafficanti in realtà è un migrante. Una figuraccia di Italia, Inghilterra e Sudan

Lo scafista è solo un profugo Arrestato l'eritreo sbagliato

O si tratta del criminale più scaltro e spudorato degli ultimi anni oppure inquirenti ed investigatori italiani ed inglesi hanno fatto una colossale figuraccia internazionale. Nome, età, foto, testimonianze e le dichiarazioni dell'arrestato rendono credibile la seconda ipotesi. Un clamoroso errore di persona che coinvolgerebbe pure il ministero dell'Interno e della Giustizia, il governo inglese e quello sudanese. Se così fosse è probabile che gli italiani siano finiti in un trappolone ordito dal vero ricercato al quale davano la caccia.

Stiamo parlando dell'estradizione dal Sudan dell'8 giugno di un eritreo, che la procura di Palermo e la polizia hanno presentato trionfalmente come il numero 1 del traffico di uomini dalla Libia. «Non sono il boss dei trafficanti di essere umani. Con questa storia non c'entro nulla. Sono stato preso per sbaglio» ha ribadito ieri a Rebibbia l'arrestato nel primo interrogatorio sostenendo di chiamarsi Medesime Tesfamariam Berhe. E non Medhanie Yehdego Mered, il vero ricercato con mandato di cattura internazionale.

Poche ore dopo l'estradizione sono saltate fuori le prime incongruenze. Non solo amici e parenti, che denunciavano uno scambio di persona alla Bbc, ma la foto del super ricercato, Yehdego Mered, agli atti dell'inchiesta, non corrisponde a quella dell'estradato. E ieri la sorella dell'eritreo arrestato, Seghen Bershe, ha fatto pubblicare sul quotidiano britannico The Guardian uno scatto con il fratello che fuga ogni dubbio. I due sono simili, ma il ricercato è più vecchio e ha lineamenti diversi rispetto all'eritreo finito a Rebibbia.

L'aspetto paradossale è che la foto che si presume «vera» è alla pagina 128 degli atti dell'inchiesta «Glauco II», che ha smantellato la rete siciliana del traffico di uomini dalla Libia. Si spiega nei dettagli come sia stata scoperta su Facebook ed il riscontro ottenuto grazie ad un'intercettazione sul cambio di pettinatura dei capelli alla rasta. Non solo: gli italiani hanno avuto ulteriori conferme dalla Svezia dove vivono la moglie ed il figlio del vero trafficante di uomini nato nel 1981. Peccato che la foto allegata agli atti non corrisponda per nulla all'estradato dal Sudan, che per di più avrebbe 25 o 28 anni e non 35.

«Gli elementi di cui disponiamo finora ci inducono a ritenere che l'arrestato debba restare in carcere dice il procuratore aggiunto Maurizio Scalia - Esiste, inoltre, una serie di documenti di Stati esteri che ci dicono che si tratta di Medhane».

Il problema è che non solo i familiari denunciano l'errore di persona. Una giornalista svedese che ha intervistato in Sudan il trafficante di uomini sostiene che non è il ragazzo incarcerato a Roma. Come le stesse vittime di Yehdego Mered, soprannominato «il generale». «Lo conosco molto bene. Non è lui» spiega Anbes Yemane, uno studente eritreo che ha percorso la rotta del trafficante per raggiungere l'Italia nel dicembre 2103. «Mered mi minacciava con una pistola - osserva il ragazzo - Per questo me lo ricordo molto bene». La sorella dell'arrestato aggiunge il dettaglio che nel 2014 il fratello è fuggito dall'Eritrea per riparare in un campo profughi in Etiopia. Nello stesso periodo, seconda l'accusa, era a Tripoli ad organizzare i viaggi con i barconi verso l'Italia per oltre diecimila migranti.

«Il mio cliente ha negato tutte le accuse, dice che non è la persona in questione. È un altro uomo - ha spiegato l'avvocato difensore Michele Calantropo - e non capisce il perché del suo arresto». Il legale ha avanzato istanza di scarcerazione.

L'accusa sostiene che la voce registrata nelle intercettazioni dell'inchiesta «Glauco II» è la stessa dell'arrestato. Il giovane eritreo dietro le sbarre ha ammesso che aveva il cellulare rintracciato dalla National crime agency inglese l'ultima volta il 23 maggio a Kartoum, 24 ore prima di finire in manette. E di aver fatto due telefonate «con i miei familiari che stanno nel nord Europa sul viaggio verso l'Italia che stavo per fare» come migrante negando di essere il trafficante che organizza la tratta.

«Siamo fiduciosi - dichiara il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi - Verrà fatta una perizia fonica e solo così si potrà stabilire se effettivamente la persona che intercettavamo era quella che poi è stata arrestata».

(ha collaborato Valentina Raffa)

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