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Via della Seta, addio ufficiale. Solo Conte grida all'autogol

Disdetti gli accordi con Pechino. L'ex premier: "Ragioni ideologiche". Ma nemmeno i suoi alleati lo ascoltano

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Meglio tardi che mai. Ma soprattutto meglio adesso. Anche perché proprio ora la nave dell'economia cinese, su cui eravamo stati spinti a salire quattro anni fa da Giuseppe Conte e dai 5 Stelle sta rivelando tutte le sue falle. Dunque pochi patemi.

La disdetta degli accordi sulla Via della Seta - annunciata a Pechino da una nota verbale della Farnesina quattro giorni fa - è semplicemente una buona nuova. Per capirlo bastano due elementi. Solo 48 ore fa gli analisti di Moody's hanno rivisto la pagella della Cina assegnandole un trend negativo. Questo perché l'esplosione della bolla immobiliare impedisce ai governi locali di recuperare i pagamenti dei terreni venduti a Evergrande e altri giganti del settore innescando un devastante debito interno. Ma il segnale di quanto fosse azzardato flirtare con il Dragone arriva dalla stessa Cina. Venerdì la rivista Qiushi, vera bibbia ideologica del Partito Comunista, ha pubblicato un comunicato che intima a banche, fondi pensione, assicurazioni e istituzioni finanziarie di allinearsi ai principi del marxismo e ai dettami del presidente Xi Jinping. Il richiamo rappresenta un autentico diktat in linea con le mosse di un presidente che negli ultimi anni ha tagliato le gambe al fondatore di Alì Baba e a tutti gli imprenditori illusisi di potersi sottrarre al controllo del partito. L'economia cinese, oltre a presentare pericolose falle, dimostra insomma l'evidente asservimento ai voleri del partito e dell'uomo che lo comanda. Non a caso alcune banche americane stanno abbandonando i suoi mercati. Il 9 ottobre l'istituto americano Citibank ha annunciato di aver venduto parte dei suoi assetti. E lo stesso sta facendo Vanguard, un altra banca statunitense.

In tutto ciò l'ultimo samurai pronto a difendere un accordo capace di trascinare l'Italia nei gorghi di un economia cinese non solo illiberale, ma anche fallimentare è Giuseppe Conte. Per l'ex premier, oggi alla testa dei Cinque Stelle, l'uscita dalla Via della Seta è «un autogol» che «si giustifica solo per ragioni ideologiche» serve a «compiacere altri che non sono le imprese italiane» e rivela la sottomissione del governo Meloni alla «tecnoburocrazia di Bruxelles». Parole a cui non credono neppure i suoi alleati del Pd. Non a caso la dem Lia Quartapelle pur accusando il governo di aver agito senza informare il Parlamento parla di «decisione giusta». Posizione condivisa anche dal senatore Ivan Scalfarotto di Italia Viva. «La decisione di uscire dal progetto cinese - scrive - resta una buona notizia a dispetto delle singolari modalità prescelte. Un accordo firmato in pompa magna sotto gli occhi del mondo viene cancellato in sordina, quasi di nascosto».

Ma le posizioni del Pd e di Italia Viva non tengono conto degli accordi preliminari discussi da Xi Jinping e Giorgia Meloni durante il bilaterale svoltosi al G20 del novembre 2022. La presidente del Consiglio dopo aver annunciato già in campagna elettorale la volontà di abbandonare la Via della Seta aveva approfittato del faccia a faccia per anticipare l'addio italiano. E al vertice avevano fatto seguito negoziati in cui Pechino e Roma avevano concordato di mantenere riservata la notizia dell'uscita italiana.

Dunque nessun segreto e nessuna decisione alle spalle del Parlamento, ma semplice rispetto delle intese concordate.

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