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Un taglio al costo del lavoro e risorse per mettersi in gioco. Sfatato il tabù del 1° Maggio

Sfatare il tabù del primo maggio insieme a quello del reddito di nullafacenza è un peccato che una certa élite non vuole perdonare al governo Meloni

Un taglio al costo del lavoro e risorse per mettersi in gioco. Sfatato il tabù del 1° Maggio

Sfatare il tabù del primo maggio insieme a quello del reddito di nullafacenza è un peccato che una certa élite non vuole perdonare al governo Meloni. Ma il premier non si cura di queste polemiche e per il giorno della festa del lavoro ha convocato un Consiglio dei ministri nei quali si varerà il decreto atteso da oltre un mese e mezzo e i cui contenuti, con il passare del tempo, si sono allargati.

La novità è il taglio del cuneo fiscale con i 3,4 miliardi recuperato nel Def alzando lievemente l'asticella del deficit programmatico dal 4,35 al 4,5 per cento. L'obiettivo è portare al 4% il taglio degli oneri contribuitivi fino a 25mila euro annui e al 3% per quelli fino a 35mila euro con benefici aggiuntivi quantificabili tra i 13 e i 55 euro al mese (tra i 90 e 385 euro complessivi per i 7 mesi rimanenti dal varo della norma). Secondo la Banca d'Italia, gli stanziamenti complessivi (inclusi quelli della manovra si sfiorano gli 8 miliardi), consentirebbero di erogare benefici per 200 euro annui in media per i redditi bassi. Mentre ieri il capogruppo di Fi alla Camera Barelli ha rilanciato puntando a un taglio del cuneo del 5% per il 2024.

Gli altri capisaldi del decreto saranno quelli annunciati nelle scorse settimane. Da una parte il superamento del reddito di cittadinanza a partire da settembre con l'introduzione di: «Garanzia di inclusione - Gil» (500 euro mensili che possono arrivare fino a 1.1150 a seconda del nucleo, destinato a 7000.000 famiglie con minori, disabili e over 60), «Prestazione di accompagnamento al lavoro - Pal» (350 euro mensili per 154mila nuclei percettori di reddito inseriti in un percorso di collocamento) e «Garanzia per l'attivazione lavorativa - Gal» (350 euro mensili più 175 euro per un altro componente del nucleo per percettori di reddito in povertà ma occupabili). La spesa dovrebbe scendere dagli attuali 8 miliardi a 5,3 miliardi annui.

Il decreto contiene, poi, altre due parti: sgravio totale dei contributi fino a 8mila euro per due anni assunzioni stabili di percettori di Gil, Gal e Pal, sgravio al 50% fino a 4mila euro per 12 mesi per contratti a termine sottoscritti con i medesimi soggetti e sgravio del 60% da giugno a dicembre per l'assunzione di giovani «neet» (che non studiano né lavorano) e incentivo di 3mila euro per l'autoimpiego destinati sempre agli ex percettori. Sarà inoltre più semplice estendere i contratti a termine da 12 a 24 mesi, mentre per l'ulteriore estensione a 36 mesi sarà necessario passare ai servizi ispettivi del Lavoro.

Il decreto Lavoro è il coronamento di sei mesi di attività del governo Meloni che, avendo stanziato 20 miliardi contro il caro-energia in manovra (rivalutazione delle pensioni inclusa), ora punta con più decisione sul taglio della pressione fiscale. La riforma, coordinata dal viceministro dell'Economia Maurizio Leo, giungerà a breve e a queste azioni si aggiungerà un taglio da 4 a 3 delle aliquote Irpef e - molto probabilmente - anche la flat tax sugli aumenti di reddito. Occorrerà lavorare sui 108 miliardi di sconti fiscali per reperire le risorse e anche per varare le misure a favore delle famiglie con figli annunciate dal ministro dell'Economia Giorgetti il cui costo minimo è di 7 miliardi.

La rotta è tracciata: favorire le persone che cercano un lavoro e che non vogliono restare sul divano e cercare di non rendere la natalità una penalizzazione per le famiglie in termini di reddito. Se a questo indirizzo politico si unisce anche l'aver sfatato il tabù del primo maggio, ecco che si capisce il coro di indignazione partito ieri dal Pd all'unisono. «Taglia le risorse contro la povertà e allarga la precarietà», ha dichiarato il responsabile economico del Nazareno, Antonio Misiani riferendosi al definanziamento del Fondo Povertà a copertura del dl. Affermazioni ripetute ieri da vari esponenti Pd tra cui Boccia, Nardella, Zingaretti e Gribaudo. Praticamente la ripetizione pedissequa delle tesi del segretario Cgil Maurizio Landini che ha definito il decreto «una presa in giro» da parte di Giorgia Meloni.

Come ha detto il capogruppo alla Camera di Fdi, Tommaso Foti, «il Pd è nervoso perché il governo ha smascherato anni e anni di demagogia e propaganda: per loro la pacchia è finita».

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