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Con il taglio dei parlamentari, il prezzo più alto lo pagano i 5S

Secondo una proiezione, che prende spunto dagli ultimi risultati elettorali delle Europee, a pagare il prezzo più alto dello "snellimento" del Parlamento saranno il pentastellati (sostenitori della riforma) e i democratici

Con il taglio dei parlamentari, il prezzo più alto lo pagano i 5S

Se nessuno ricorrerà al referendum confermativo, la riduzione dei parlamentari potrebbe diventare presto una realtà. All'appello, infatti, manca una sola lettura alla Camera e se tutto dovesse essere confermato il numero dei deputati alla Camera passerà da 630 a 400 e da 315 a 200 al Senato. Nei mesi precedenti, infatti, era stata approvata in via definitiva una legge dal titolo "Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentementea dal numero dei parlamentari". Una volta entrata in vigore la modifica costituzionale, sarà possibile andare a votare con il "Rosatellum", l'attuale legge elettorale, salvo non si trovi un accordo su un altro testo.

Il paradosso pentastellato

Secondo una proiezione di Federico Fornaro (capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera), realizzata su Il Fatto Quotidiano, se si simulasse il risultato in termini di seggi attribuiti alle coalizioni e ai partiti, prendendo come punto di riferimento gli ultimi esiti elettorali delle Europee dello scorso maggio, il partito più penalizzato per la riduzione del numero dei parlamentari sarebbe il Movimento 5 Stelle e a seguire il Partito democratico. Paradossale, se si considera che la riforma è stata fortemente voluta dai pentastellati.

Come funziona il sistema

La quota proporzionale (253 alla Camera, comprendendo gli otto eletti all'estero e 126 al Senato, con i quattro eletti all'estero) è stata ripartita, appunto, sulla base dei risultati di maggio 2019 (confermando la soglia di sbarramento del 3% e con una forzatura per ciò che concerne il Senato, per la diversa età dell'elettorato attivo). Per ciò che riguarda i collegi uninominali (147 alla Camera e 74 al Senato) sono stati attribuiti alle coalizioni di centro-destra (Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia), di centro-sinistra (Partito democratico e alleati minori) e M5S sulla base di una stima soggettiva ma equilibrata. Lo snellimento alla Camera, che costituisce circa il 37%, non avrebbe effetti distorsivi, perché l'attribuzione dei seggi avviene su base nazionale (e quindi si ridurrebbe proporzionalmente per tutti). Al Senato, invece, le cose cambiano, perché i seggi sono distribuiti a livello regionale, con la conseguenza di un innalzamento in molte regioni della soglia di sbarramento implicita, a vantaggio dei partiti maggiori.

Il Parlamento "trasformato"

L'ultima competizione elettorale, poi, ha sancito l'imponente vittoria del partito di Matteo Salvini,la sconfitta dei pentastellati, con un leggero progesso dei dem (rispetto alle Politiche del 2018), un arretramento importante di Forza Italia e l'avanzata di Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Perciò, gli ultimi esiti (soprattutto a livello regionale), la riduzione dei parlamentari e la legge elettorale in vigore (il "Rosatellum") mostrano un Parlamento completamente trasformato. O comunque molto diverso.

Il prezzo più alto

Chi paga davvero le conseguenze di questo cambiamento sono soprattutto i pentastellati, tra i più accaniti sostenitori di questi tagli. Il M5S, infatti, passerebbe al Senato da 111 senatori a 28 e alla Camera da 227 deputati a 54.

Contenuta ma sempre importante anche la contrazione di seggi del Pd e dei loro alleati (40 senatori contro 69 e 78 deputati contro 119).

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