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Tassa sugli extra-profitti verso il compromesso sulla deducibilità parziale

Emendamenti pronti. L'accordo soddisfa anche i rilievi sollevati dalla Bce in una lettera al governo

Tassa sugli extra-profitti verso il compromesso sulla deducibilità parziale

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La deducibilità parziale dell'imposta e una base imponibile più contenuta. Sono queste le fondamenta del compromesso su cui governo e parti in causa stanno lavorando in relazione alla tassa da applicare ai cosiddetti extraprofitti delle banche, nel rispetto del principio ribadito ieri dalla premier Giorgia Meloni: «Sì a modifiche, ma a parità di gettito».

I paletti sono stati trattati a inizio settimana in un vertice tecnico a Bankitalia, dal quale è uscito uno schema che prevede due punti essenziali. Il primo sarebbe l'esenzione dei rendimenti dei titoli di Stato dal calcolo dell'ammontare del margine d'interesse su cui applicare la tassa del 40% introdotta dal decreto legge del governo utilizzato. Un chiarimento che ha trovato terreno fertile anche nello stesso Mef, dal momento che una nuova tassa estesa anche alle cedole dei Btp poteva diventare un bel boomerang su chi deve emettere 3-400 miliardi di titoli di debito pubblico ogni anno e che conta proprio sulle banche italiane per assorbirne una quota decisiva. Il secondo e fondamentale punto del compromesso - perché riduce il prelievo finale alle banche senza però toccare il gettito immediato per le casse dello Stato - è la deducibilità dell'imposta, nella misura stimata del 50 per cento. Una sorta di credito fiscale che gli istituti potranno applicare ai loro bilanci, spalmandolo in cinque anni.

L'impianto dovrebbe essere così definito attraverso gli emendamenti che Forza Italia e Lega hanno tempo di presentare fino a oggi in Commissione Finanze al Senato e fino al 26 settembre alla Camera. Modifiche che sono il frutto di un lavoro certosino che ha in parte rovinato le vacanze a tutti gli addetti ai lavori (la versione iniziale del Decreto è arrivata il 7 agosto scorso), ma ora sta giungendo al termine. Con una versione che alla fine trova l'accordo di tutti.

Il governo, e in particolare la premier che su questo provvedimento ci ha messo più vole la faccia, ottiene il risultato politico di riequilibrare i bilanci bancari, gonfi di utili fatti con la crescita dei tassi, a favore della collettività (le maggiori entrate serviranno alla riduzione fiscale di famiglie e imprese); il Mef trova risorse aggiuntive (nell'ordine dei 2 miliardi) per la manovra; le banche danno un loro contributo, una tantum, senza compromettere né il conto economico, né le previsioni future fornite finora al mercato. E neppure la stabilità del sistema creditizio, rischio che proprio ieri è stato ventilato dalla Banca centrale europea.

In un parere scritto in risposta alla notifica del Decreto da parte del governo, la Bce - che ha già esaminato provvedimenti analoghi in Spagna e Lituania - sottolinea diversi rischi per le banche sottoposte a questo extraprelievo: da quello generale dell'indebolimento patrimoniale, alle potenziali difficoltà nella raccolta di capitale (che risulta meno remunerato), fino al pericolo della «frammentazione del sistema finanziario europeo a causa della natura eterogenea» di queste imposte. Inoltre, fanno notare ancora i tecnici di Francoforte, la nuova tassa non considera i maggiori rischi d'impresa connessi con i tassi d'interesse elevati che hanno generalo i presunti extraprofitti. Tra questi, il più elevato rischio di credito che si assumono le banche. Infine c'è anche un tema di asimmetria concorrenziale, che vede le banche più piccole e più concentrate sull'erogazione del credito sfavorite rispetto alle aziende più grandi.

Il compromesso raggiunto sembra fugare tutti i dubbi dell'Eurotower. E dare più equilibrio anche nei confronti di un'altra asimmetria rimasto dietro le quinte. Quella di Poste Italiane. Un'azienda (controllata dallo Stato) che era e resta esente dalla nuova tassa.

Ma che nel suo modello di business ha numerosi punti in comune con le aziende di credito.

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