Politica

Trump a un passo dal traguardo New York sorride anche a Hillary

Largo successo del miliardario repubblicano Ormai al capolinea la corsa di Bernie Sanders

Paolo Guzzanti

New York Adesso sarà veramente difficile che gli alti papaveri repubblicani possano negare a Donald Trump la nomination di luglio alla convenzione d Cleveland. Le hanno provate tutte: lo hanno screditato in tutti i modi spendendo milioni di dollari in «pubblicità negativa», lo hanno definito unamerican (in contrasto con l'identità americana) ma ieri l'establishment ha dovuto fare pace con la realtà: la vittoria di Trump a New York è schiacciante e anche se il front runner non arrivasse ad ottenere tutti i 1.237 delegati nessuno avrebbe il coraggio di incoronare un altro, specialmente Ted Cruz che ieri è crollato miseramente, peggio del previsto. Trump fino a martedì l'aveva sempre chiamato «Ted il bugiardo». Ma ieri, dopo aver visto la testa dell'avversario rotolare nella polvere, gli ha reso l'onore delle armi chiamandolo finalmente «senatore». Ma con cattiveria calcolata. Riscuotendo gli applausi del pubblico. «Il senatore Cruz non è più in corsa con noi, è andato». Soltanto il borough di Manhattan non ha premiato «The Donald» al quale sono andate 62 contee su 63, tutte tranne quella di Woody Allen e degli intellettuali, per così dire.

Mancano ormai soltanto 15 Stati per concludere il torneo americano delle primarie, che ormai imbarazza gli stessi americani per la somma di ingiustizie e regole incomprensibili che fanno girare questo circo equestre, la cui caldaia brucia miliardi di dollari sia dei cittadini che delle grandi corporation. Dall'altra parte Hillary Clinton ha stravinto fra i democratici e si scrolla di dosso il fastidioso grillo parlante di Bernie Sanders, un grande e acido personaggio che aveva cominciato a credere di poter rimontare lo svantaggio con l'aspirante presidentessa. Per dirla con il noto proverbio, quando arriva l'ora dei duri, i duri scendono in campo.

Previsioni su chi vincerà fra i due? Per ora i numeri dicono che la Clinton è in testa, ma i giochi non sono fatti perché l'elettorato americano somiglia un po' a quello italiano: vanno a votare in pochi e si può vincere in due modi: o conquistando la maggioranza dei pochi che votano, o convincendo chi non vota ad andare a votare. Trump ha questo potere: di rianimare i depressi e resuscitare i morti perché incarna e dà voce, forte e sguaiata ma ben udibile, al grande malessere americano. Gli Stati Uniti negli otto anni dell'obamismo hanno cambiato pelle, ma la metamorfosi è ancora a metà. Ciò che è importante, anzi vitale per noi europei, è provare ad immaginare il mondo con un'America clintoniana oppure, con una rotazione di centottanta gradi, un'America trumpiana. La prima volta che andai ad abitare a New York scoprii come tutti questo folle gioiello sulla Fifth Avenue: la Trump Tower d'oro lucente e sfacciato come i sogni di plastica delle fate a buon mercato. Nell'androne campeggiava un'enorme statua a colori di Paperino, ovvero Donald Duck, una delle più grandi invenzioni di Walt Disney, l'Esopo americano. «The Donald», architetto spregiudicato, si specchiava nell'altro Donald il papero, una creatura della cultura pop cui Trump appartiene con sfrontata consapevolezza.

Che mondo sarebbe quello con un'America guidata da quest'uomo? Probabilmente un mondo senza America. Donald è un isolazionista che vuole chiudere le porte di casa (muro messicano e frontiere invalicabili) e che sogna di dare ai suoi concittadini un'era di edonismo senza rischi: poi, gli altri, europei e asiatici, facciano quel che vogliono, si lancino pure bombe atomiche fra loro se lo desiderano. Questo sembra in sintesi il Trump-pensiero.

Hillary Clinton rappresenta invece l'America attivista. Magari pasticciona e incosciente come è stata in Libia, ma muscolare con la Russia.

L'incidente di lunedì nel mar Baltico con i caccia russi che sono andati a sfiorare le navi americane e polacche in esercitazione preoccupa Washington dove l'incidente è decifrato come segnale: Mosca fa sapere di essere pronta a giocare in modo duro se l'America dovesse scegliere una politica nella tradizione interventista dei democratici da Roosevelt a Kennedy, fino a Bill Clinton, e signora.

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