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Tu rischi e investi. E lo Stato avido guadagna più di te

Il paradosso di un costruttore milanese: investe 22 milioni per creare case e box. L'erario, senza rischiare, incassa il doppio

Tu rischi e investi. E lo Stato avido guadagna più di te

I costruttori di Milano e il loro presidente Claudio De Albertis hanno presentato una ricerca molto interessante. Non si tratta della solita indagine macro. Non vi spaventate e continuate a leggere. In effetti ci siamo un po' assuefatti ai numeri che riguardano tutti, e nei quali alla fine nessuno si ritrova. Sembrano numeri lontanissimi. Prendete il caso dell'inflazione. Si dice con un numeretto che i prezzi scendono, ma è davvero così?

E sulle tasse poi... Tutti i governi dicono di averle più o meno diminuite, ma poi, quando si tratta di pagare, tutti abbiamo l'impressione che ciò non sia vero. Ebbene, De Albertis ha preso un caso concreto. Un imprenditore che si fosse messo in mente di costruire 32 appartamenti e 136 box a Milano, su un terreno edificabile (prima destinato all'agricoltura) nell'ultimo quinquennio. Si tratta di un'operazione immobiliare davvero realizzata. Lo scopo dell'indagine sul campo è quello di vedere quanto incassa lo Stato e quanto l'«avido» imprenditore. Anticipiamo subito il risultato: le casse dell'Erario si portano a casa un «profitto» quasi doppio a quello dell'impresa.

Vediamo nel dettaglio. L'imprenditore ha comprato il terreno per 9,5 milioni e ne spende circa 13 per edificarlo. In totale il costruttore dunque investe 22,5 milioni. Una montagna di soldi per una singola operazione. Tanto più che oggi non è del tutto sicuro che la merce costruita sia immediatamente venduta. Ma nel nostro caso si presume, ottimisticamente, che tutti gli appartamenti e i box siano acquistati. In questa fortunata ipotesi, l'utile netto dell'investimento sarebbe di 4,3 milioni. Non male, ma da mettere in relazione al rischio di impresa e all'impiego di capitali per finanziarla.

E allo Stato cosa entra? Soltanto nella prima fase, quella di acquisto del terreno e di progettazione, tra imposte di registro, ipotecarie e catastali e ancora oneri di concessione e imposte sul mutuo (acceso solo per una parte dell'investimento), lo Stato incassa 1,9 milioni. Ancora prima di iniziare a posare un singolo mattone, l'erario inizia a godere. A ciò si aggiunga l'imposta che il venditore del terreno deve pagare per la plusvalenza realizzata e pari a 380mila euro. Il totale di incassi per le Finanze è quindi di 2,3 milioni di euro al minuto zero.

Si passa così, per chi ha ancora un po' di fieno in cascina, alla costruzione vera e propria. Lo Stato incassa poco più di 1 milione tra Irpef dei dipendenti, oneri di urbanizzazione e Imu per l'area oggetto di costruzione. L'immobile è finalmente finito e si suppone che si riesca a vendere tutto. E lo Stato si lecca i baffi: tra imposte sull'utile lordo, imposte sui trasferimenti e Iva a carico degli acquirenti dell'immobile si arriva a 3,9 milioni di incassi per lo Stato.

Tirando le somme, il Tesoro incassa 7,2 milioni di euro. E, dunque, la sintesi è che su un investimento privato di 22,5 milioni, le Finanze incassano quasi un terzo senza fare alcunché e senza assumersi alcun rischio. Il privato che ha azzeccato l'impresa guadagna quasi la metà.

Alzi la mano chi vorrebbe un socio così esoso e vigliacco. Nessuno.

Ecco perché sono necessari carabinieri e controlli da stato di polizia per far rispettare un patto così squilibrato contro l'interesse di chi fa impresa edile in Italia.

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