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"Usano il capo dello Stato. Colpa di una politica vuota e priva di idee"

Lo storico: "Ormai è dai tempi di Pertini che il presidente della Repubblica è un attore politico. Consiglio alla premier: il Colle non va riformato"

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Ernesto Galli della Loggia (foto), storico noto al grande pubblico, a tutto campo sul ruolo sempre più politico che viene attribuito al presidente della Repubblica.

Ma anche sullo stato di salute dei partiti presenti sullo scacchiere italiano.

Professore, è emerso «stupore» del Quirinale per alcune interpretazioni fornite da alcuni quotidiani sul discorso del capo dello Stato al Festival delle Regioni.

«Il presidente della Repubblica è diventato, direi da trent'anni e spesso suo malgrado, un attore della scena politica. A volte, anche contro ogni suo desiderio e volontà, le parole del capo dello Stato vengono utilizzate. In alcune circostanze a proposito e in altre a sproposito, ma sempre nel dibattito politico. Questa caratterizzazione sempre più politica del presidente della Repubblica è iniziata tempo fa, con Pertini e Cossiga. Poi il fenomeno ha avuto un proseguo con la seconda Repubblica, a partire da Scalfaro. Ma questa caratterizzazione marcata dipende dall'incapacità della politica di fare il suo mestiere».

Quale e quanta debolezza?

«Mi pare che, nell'arco della seconda Repubblica, né i governi né i Parlamenti siano stati in grado di rispondere al meglio ai bisogni dei cittadini, e quindi ai loro compiti di governare e legiferare. Il presidente della Repubblica ha assunto così in qualche modo un ruolo di sostituto, nel vuoto che la politica ha puntualmente portato con sé».

La sua diagnosi sulla politica è impietosa. Come stanno i partiti oggi?

«Il Pd è in uno stato di salute pessimo. Oggi presenta due elementi del tutto negativi: la mancanza di idee e la mancanza di leadership. Non ha programmi, non ha proposte e appunto non ha idee. A destra invece non ci sono forse molte idee. Ma di sicuro non c'è la mancanza di leadership. Perché un capo riconosciuto esiste eccome. E, in politica, avere un capo è già un vantaggio decisivo. Questo è vero in qualunque processo collettivo».

Quindi non crede che Elly Schlein abbia un progetto a lungo termine, magari tutto centrato sui diritti e sulle nuove generazioni?

«Guardi non mi chieda cosa pensa la Schlein perché non lo capisco. Lei ha il problema di vincere le elezioni tra sei mesi. Quale progetto a lungo termine?».

E invece il Movimento 5 Stelle?

«Il Movimento 5 Stelle ha conservato un appeal elettorale. Anche perché mescola degli elementi di destra e di sinistra. Per esempio sui migranti: è chiaro che Conte non la pensi come la Schlein, che invece vorrebbe in buona sostanza accogliere tutti in maniera indiscriminata».

Questa può essere la stagione delle riforme?

«Auguro alla premier di riuscirci. Se dovessi dare un consiglio a Giorgia Meloni, le direi di non toccare i poteri del presidente della Repubblica, che non va riformato. Ha già tanta carne al fuoco e tanti problemi a cui pensare. Invece credo che sia il caso di risolvere una questione che affligge la nostra democrazia, ossia la mancanza di poteri dell'esecutivo. Mi pare che l'istituto della sfiducia costruttiva possa essere lo strumento migliore: può essere accettabile, ed accettato, senza grossi stravolgimenti costituzionali. Un problema legato al rafforzamento dell'esecutivo in Italia esiste, e si può prendere a riferimento, con tutti i distinguo del caso, il modello tedesco».

Il «centro» rimane la chimera della politica italiana.

«Il centro esiste nella misura in cui né il centrodestra né il centrosinistra riescono ad essere convincenti rispetto a quello spazio. Se la Meloni riuscisse ad allargare la sua coalizione verso quel perimetro, il centro non esisterebbe più. Così come se il Pd fosse stato convincente al centro nelle passate elezioni, non sarebbe nato il progetto di Renzi e Calenda.

E quando mi riferisco al centro, penso a una larga fascia dell'elettorato italiano».

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